venerdì 25 dicembre 2015

La notte di Natale

Il piccolo campanile era finalmente visibile. Dopo quasi due ore di cammino, la chiesetta era spuntata dietro una costa rocciosa e con essa la bassa costruzione addossata al suo fianco, come una protuberanza.
Non era stanco, nonostante il terreno fosse gelato e avesse lasciato la strada asfaltata almeno un’ora prima, per seguire il sentiero che si inerpicava nel bosco. L’aria era gelida e gli sferzava il volto non appena il percorso abbandonava gli alberi per qualche metro di radura. Il sole era tramontato già da tempo, ma una luna piena luminosa lo accompagnava sorniona, incurante del suo destino.
Luca si concentrò sui suoi passi, tentando di scacciare l’amarezza; rocce ghiacciate, foglie secche ricoperte da un leggero strato di brina, qualche radice affiorante e scivolosa. Non era mai stato lì con Beatrice, che amava le cime, le camminate impegnative, i rifugi d’alta quota. Nella bella stagione si poteva arrivare con la macchina a pochi passi dallo sperone di roccia su cui la chiesetta era stata edificata, e l’unica attrattiva era l’ampio panorama che si vedeva da lassù, attrattiva che non riusciva a catturarla. Con lei le montagne dovevano essere una palestra, un’avventura, talvolta una sfida.
Il piede scivolò su un grosso sasso e Luca tornò a concentrarsi sulla meta, ormai a poche decine di metri. Sapeva che la porta era aperta: non c’era nulla da rubare là dentro e l’eremita che aveva abitato lì fino a qualche anno prima aveva sempre accolto chiunque passasse, per caso o per scelta. Un po’ di pane, un formaggio d’alpeggio e un pintone di vino non sempre favoloso diventavano uno spuntino o una cena da condividere con lui, scambiando quattro parole schiette, mai banali. Poi se n’era andato, chissà perché.
Aprì la porta con una lieve spinta ed entrò, accolto da un odore di umido che non gli dispiacque. La chiesina aveva soltanto due panche e un tavolo, con un crocifisso formato da due rami; Luca fece un rapido segno di croce, reminiscenza degli anni infantili, ed entrò nella stanza a fianco. La stufa in ghisa era arrugginita, ma la legna era accatastata lì vicino, asciutta e abbondante. L’indomani sarebbe toccato a lui ripristinare le scorte. Non faticò ad accendere il fuoco, che prese subito vigore e diffuse un piacevole tepore nel minuscolo spazio.
Si sedette sulla branda ed estrasse dallo zaino il pane, il salame e l’immancabile coltellino Opinel, un pasto ben diverso da quello che aveva programmato: poche portate gustose in un ristorante raffinato e non troppo esotico, vino corposo e atmosfera intima, da ricordare per sempre. Beatrice avrebbe apprezzato la semplice eleganza e sarebbe stata piacevolmente sorpresa quando lui, con molta serietà, avrebbe estratto la scatolina di tasca e pronunciato le parole che potevano unire i loro destini. L’inizio della loro nuova vita la notte di Natale, la magia e l’amore, per sempre. Ma lei aveva rifiutato l’invito, con parole gentili ma definitive, senza presagire che con quel rifiuto ne aveva evitato un altro ben più doloroso.
Stranamente non fu il viso della ragazza a tornargli in mente in quel momento, ma i sorrisi dei suoi amici, che avevano organizzato la solita cena della vigilia. In quello stesso momento stavano stappando bottiglie e ingozzandosi di lasagne, arrosto e purè con le loro ragazze, mogli e, nel caso di Marco e Giulia, con i due bimbi assopiti sul divano. Aveva rifiutato il loro invito ammiccando e non c’era stato bisogno di altre parole.
Tirò su col naso le lacrime che avevano cominciato a pungere contro le palpebre. Forse non era stata un grande idea, venire fin quassù tutto solo, seguire l’impulso di un attimo che lo trascinava verso una fuga dalla realtà. Per un istante, al momento di scendere dalla macchina, ci aveva ripensato e aveva fatto dietrofront, ma poi si era reso conto di quanto la sua compagnia potesse risultare pesante quella sera, e aveva spento il motore.  Ora, nel buio di quella stanzetta, con il calore che cominciava a diffondersi dalla stufa scoppiettante, Luca fu felice della sua scelta e si abbandonò ad un pianto infantile e consolatorio.
Un rumore lo immobilizzò. Qualcuno aveva aperto il portone della chiesina. Il ragazzo si sfregò le mani sulla faccia e si alzò, evitando ogni rumore, ma era una precauzione inutile: dall’altra stanza giungevano voci allegre e tonfi di scarponi battuti sulla soglia.
Per evitare ogni imbarazzo, Luca tossì e le voci si zittirono, poi un viso barbuto fece capolino nella stanzina calda.
«Oh, buonasera, e buon Natale» disse una voce profonda. «Che bello, hai acceso la stufa. Ti dispiace?» chiese e, senza aspettare risposta, entrò e tese la mano ruvida. Poi prese dalla tasca del giaccone una bottiglia di vino e la mise sul tavolo vicino alla finestrella: «è per dopo, non per la messa» e si aprì in un gran sorriso.
Luca si alzò ancora imbambolato e seguì l’uomo, che era tornato in chiesa; di là una piccola folla si stava radunando, in un piacevole mormorio di chiacchiere e risate. Qualcuno gli rivolse un sorriso, ma tutti si zittirono quando l’uomo barbuto, che nel frattempo si era tolto il giaccone, si mise dietro il tavolo. Una ragazza intonò Venite fedeli con una voce che a Luca parve dolcissima e tutti si unirono a lei.
Di nuovo le lacrime tornarono a scorrere sul suo viso, ma non c’era più amarezza in lui. Stupore, commozione, un calore che non sentiva da anni. Ascoltò le parole che non ricordava e gli piacquero, come gli piacquero quelle del prete, sciolte, prive della facile retorica che aveva sempre attribuito alla Chiesa.
«La messa è finita» disse al termine della celebrazione, «ma restate tutti qui e tirate fuori le cibarie, che facciamo un po’ di festa».
«Era ora!» esclamò una signora robusta piazzando una torta salata, che teneva chissà dove, sull'altare. Tutti le si fecero intorno, mentre Luca, con il bicchiere di carta pieno, passava tra tutti sorridendo, nella notte di Natale più assurda e meravigliosa che avesse mai vissuto.



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