mercoledì 8 aprile 2015

Enrica Tesio, La verità, vi spiego, sull'amore, Mondadori

Raccontare la trama di La verità, vi spiego, sull’amore sarebbe come dire che la meringata è un aggregato di carboidrati, lipidi e proteine di origine animale. Sì, gli ingredienti ci sono e sono ottimi: c’è una donna giovane con due figli piccoli che è appena stata lasciata dal marito, c’è la sua più cara amica, Sara, incapace di costruire relazioni stabili, c’è una tata maschio che invece trabocca di sentimenti, proprio verso la stessa amica. Ci sono le mille incombenze quotidiane che una mamma distratta, e ancora ben fornita di ormoni, scorda di portare avanti; ci sono i nonni, puntigliosi, svagati o in fase di rinnovata liberazione culturale; ci sono i vicini di casa New Age e gli studenti universitari, i locali notturni di Torino e i giardinetti pubblici, con i loro ben diversi frequentatori.
E poi c’è Enrica Tesio, ed è lei il vero ingrediente segreto della ricetta. La sua capacità di montare a neve i bianchi d’uovo, di dosare perfettamente lo zucchero, perché non diventi tutto stucchevole o sciapo, a rendere la panna soffice eppure compatta, guarnendo il tutto in maniera impeccabile e fantasiosa è da grande chef.
Così Dora viene trasfigurata in un personaggio memorabile, che ha compreso come la felicità sia una lunga e faticosa conquista, anche in amore, che richiede impegno e una forte dose di tolleranza e di ottuso ottimismo, nonché la mai abbastanza lodata qualità di saper ridere di se stessi.
Dora è una mamma affettuosa, che si prepara alle richieste della psicologa disegnando gli scarabocchi di suo figlio Pietro, con i piedi (a lui non piace disegnare e non vorrai mica dirlo alla psicologa, tanto più che somiglia a Renato Zero). È un’amante calda e disponibile. Fin troppo disponibile. Diciamo che non si è privata di esperienze, tanto che nel suo presepe individuale non manca nessun personaggio, neanche il Re Magio nero e il suonatore di cornamusa.
Finché non ha incontrato Davide e il suo orologio biologico ha battuto due forti rintocchi sonori: Pietro, di tre anni e Micol, di tredici mesi. Non fosse stato per quel Natale, in cui, di ritorno dal cenone, si sono trovati la porta aperta, i vestiti sul letto e niente di mancante, e la consapevolezza che la loro storia era finita. Da quel giorno Dora si destreggia tra il lavoro in ufficio, i confronti con le mamme favolose ai giardinetti e le situazioni esilaranti che i suoi occhi catturano e il suo estro elabora.

Enrica Tesio ci regala un romanzo che diverte, anzi fa sganasciare, nel corso della lettura, ma appaga con le profonde riflessioni e i forti legami con la letteratura. Le citazioni bizzarre da film e romanzi celebri, i giochi di parole buffissimi ed elaborati, le vicende coinvolgenti dei protagonisti sono solo una parte delle qualità di questo libro.
Per conoscerle tutte è necessario leggerlo e regalarne una copia a chi sarà ben felice di ripetere con noi le battute e sghignazzare delle situazioni esilaranti che vi si trovano. 

mercoledì 1 aprile 2015

Massimo Tallone, A bottega dal maestro di cazzeggio, Golem

Che cos’è il “cazzeggio”? Lo Zingarelli limita la definizione all’attività di “chi parla a vanvera, non seriamente” o anche di chi “dice o fa cose sciocche o frivole”. Decisamente riduttivo.
Vediamo dunque di capire cos’è il cazzeggio, sebbene sia un concetto che rifugge da ogni ingabbiamento, da ogni classificazione, da ogni “forma rigida di pensiero”, per citare il maestro, nonché autore di questo indispensabile manuale, MassimoTallone. Il cazzeggio è vago, indefinito, sfuggente e, come dice Leopardi, tutto ciò che è vago è poetico.
Allora il cazzeggio è poesia? Eh, quanta fretta. 
Non penserete mica che un concetto così complesso e indistinto possa essere imbrigliato in una sola definizione?
Il cazzeggio è una sinfonia che si esegue mentre si crea, una rapsodia ricca di coloriture sincopate; è una corrente filosofica che parte dalla diffidenza per poter immaginare, prevedere, intuire tutto e il contrario di tutto; è una condizione esistenziale, una proiezione mentale autogenerante, che porta al concetto del cazzeggio danzante.
Innanzitutto il cazzeggio non può essere ridotto ad una formula, sebbene il suo più grande maestro Joseph Bimah (di cui ahimè, è scomparsa ogni traccia su testi ed enciclopedie) ci abbia provato: “trattare con passione le forme del vuoto” è una sua definizione perfettamente calzante.
Il cazzeggio è soprattutto una disciplina, che può essere insegnata e imparata. Ci sono regolari corsi di cazzeggio, sebbene non siano così diffusi come si potrebbe sperare. Chiunque può iscriversi ai corsi, a qualunque età e senza preventivi titoli di studio, l’importante è volerlo, o anche no. Durante le lezioni non è necessario seguire, si può accarezzare un gatto, fare un pisolino. Quello che conta non sono tanto le lezioni teoriche, quanto l’applicazione pratica delle regole fondamentali, l’esercitazione che permette di ottenere un cazzeggio agile e potente, accompagnata dal sorseggiare un buon vino e da qualche vettovaglia da spilluzzicare, come sostentamento.
E naturalmente alla fine non ci saranno esami, sia ben chiaro, sebbene sia necessaria una forte dose di allenamento. Ad esempio sull’esercitare la diffidenza verso ogni tipo di consiglio, suggerimento o raccomandazione.
Il cazzeggio non è conversazione, sebbene possa ricordarla, ma soltanto ad un ascoltatore distratto. Vedete il paradosso?
Come si comporta il vero cazzeggiatore di fronte alle domande di un conversatore accanito? Deviando le risposte, eludendo le domande in modo sottile, evanescente.
Il cazzeggio può ispirarsi al pettegolezzo, ma tenendosi assolutamente alla larga da tutti i sentimenti di invidia e vigliaccheria che condurrebbero alla maldicenza. Il cazzeggio non ha alcuno scopo, nemmeno quello di renderci piacevoli alle persone, sebbene il maestro di cazzeggio dimostri in molti campi una squisita sensibilità estetica, ma la rivolge a cose ben più importanti, come ad esempio il succulento lessico italiano. Un piacere linguistico che non deve portare a nulla, altrimenti si corre il terribile rischio di cadere nella discussione, nel comizio, nella conferenza… del resto un buon cazzeggiatore si riconosce dallo stile.

Da qui la collezione ricchissima ed esilarante di sinonimi, di creazioni fantasiose, di citazioni da classici della letteratura che Tallone, grande maestro di ironia, ci regala all’interno di un manuale che si legge come zibaldone di trovate.
Nonostante la rigorosa suddivisione in capitoli, paragrafi, elenchi ed argomenti, Il maestro dell’arte del cazzeggio svaria in continuazione, arricchendosi di digressioni e incisi, prendendo sottobraccio il lettore e accompagnandolo zigzagando a prendersi un buon bicchiere. Un libro che si può sorseggiare lentamente, come un barolo o trangugiare a sorsate come uno chardonnay fresco; in solitudine, ma ancor meglio in compagnia di altri aspiranti cazzeggiatori.
Concludo qui, ringraziando mio padre che, grazie la suo ampio spettro di letture, mi ha consigliato da adolescente romanzi favolosi, che mi hanno portato ad intraprendere in maniera inconsapevole il cammino verso il cazzeggio, primo fra tutti il meraviglioso Pian della Tortilla di Steinbeck.
Adesso, però, scusatemi, ma devo andare ad esercitarmi. 

Cerca nel blog