Le giornate
trascorrono lentamente per Ludovica; giunta ormai al tramonto dei suoi giorni,
siede per lunghe ore sulla stessa sedia, a guardare attraverso il vetro della
grande finestra. Il suo sguardo si perde lontano, oltre il giardino di quella
casa di Giaveno, amata ed odiata nello stesso tempo, oltre le cime di quei
monti che non sono mai stati per lei un rifugio.
La piccola
Giulia osserva di nascosto la nonna, impaurita da quella strana immobilità, ma
ancor di più dalle sue reazioni improvvise, dagli sguardi severi, dalle frasi
taglienti. Forse è normale, per chi vede la vita volgere al termine, provare
tanta rabbia per il passato, aspettare qualcosa che non verrà più; ma la
piccola Giulia non può sapere il motivo di tanto rancore, non conosce i segreti
di quella donna e del suo passato.
Eppure proprio
Ludovica dovrebbe capire quella piccola, lei che nell’infanzia era succube dei
capricci della madre, che solo dal nonno riceveva l’affetto che desiderava.
Era tanto
tempo fa, la Torino di inizio Novecento era una città splendente di luci e di
speranze. Le donne si vestivano con calze di seta e colli di pelliccia e gli
uomini le accompagnavano a teatro e a passeggio per i viali alberati della
città. Ludovica viveva in una bella casa, circondata da artisti: il nonno Giovanni
Battista lavorava al famoso teatro dei burattini, suo fratello Edoardo,
burattinaio, era spesso in tournée con il suo spettacolo e il giovane Antonio
Mario, lo zio di Ludovica, era avviato verso una brillante carriera di
decoratore.
Poi era
arrivata la guerra e tanti giovani erano partiti per non tornare più. Arrivavano
lettere terribili e i soldati che riuscivano a sopravvivere e rivedere i loro
cari, spesso venivano accolti con diffidenza, come se non si fosse certi del
valore dimostrato da loro in trincea.
Era iniziato
un periodo buio, l’inverno dell’Italia. Ludovica, giovane sposa e mamma, aveva
visto l’ascesa di Mussolini e aveva assistito, senza poter fare nulla, alle
scelte aberranti di un personaggio ai limiti della follia. Col passare degli
anni il fascismo era entrato nel pieno del suo vigore ed era iniziata una
guerra ingiusta e smisurata. La gente aveva cominciato ad aver paura: le
violenze contro chi non era fascista, le restrizioni e i fanatismi crescevano
di anno in anno. I giovani, partiti come soldati, scomparivano nel rovente
deserto africano o nelle steppe della pianura russa; chi li aspettava a casa
pativa la fame e la miseria.
Ludovica, già
provata da lutti e privazioni, era dovuta fuggire da una Torino irriconoscibile
fin sui monti della val Sangone, nel cuore la speranza di tornare presto alla
sua adorata città. Non avrebbe mai immaginato di dover vivere sradicata da
tutte le sicurezze, di dover assistere a violenze indicibili, di cui anche la
sua famiglia sarebbe stata vittima.
Ed ora, a
distanza di decenni, Giulia non può capire, non può nemmeno immaginare, nella
sua innocenza di bambina, cosa hanno visto gli occhi di quella anziana donna
nella sua gioventù, non sa a quali violenze suo padre abbia dovuto assistere da
ragazzino.
Un percorso di
scrittura iniziato con il ritrovamento di fotografie e lettere di famiglia ha
condotto Giulietta Gastaldo lungo i destini di antenati e parenti quasi
sconosciuti, alla scoperta dei segreti di un passato che sembrava perduto, fino
alla rivelazione inaspettata del vero tesoro di ogni famiglia: i ricordi.
La piccola
Giulia si affaccia sulla soglia della cucina: seduta davanti alla finestra c’è
la nonna, immersa nei suoi ricordi, e la piccola la osserva intimorita.
Qualcosa ha attirato lo sguardo dell’anziana donna, che ora, disturbata dalla
presenza della bambina, la rimprovera, facendola fuggire. E’ questo l’inizio di
un lungo racconto che coinvolge e affascina il lettore per tutte le trecento
pagine di Prigionieri di un passato,edizione Il Punto.
Incontriamo
l’autrice, Giulietta Gastaldo, alla vigilia dell’uscita del suo romanzo nelle
librerie.
“Tutto è nato
quasi casualmente” spiega lei emozionata.
“Abele Bergeretti mi aveva chiesto informazioni su mio bisnonno, il pittore
Antonio Mario Guglielmino. Così mi sono messa alla ricerca dei documenti di
famiglia e quel che ho trovato è stata una scoperta entusiasmante. Sapevo che
in casa c’erano delle carte, ma mio padre e mia nonna non avevano mai voluto
mostrarmi niente; è stata una vera e propria caccia al tesoro tra gli eventi
che hanno coinvolto la mia famiglia, sia tragici che lieti. ”
Nella sua
ricerca Giulietta ha scoperto cartoline, fotografie, riduzioni in scala dei
dipinti che avevano reso celebre il prozio pittore, e poi libretti militari,
lettere, annuari; e ogni sorta di ricordo scritto legato alla storia di una
famiglia in cui la vita privata è annodata strettamente alla storia nazionale.
Dal ritrovamento
alla scrittura il passo è stato quasi inconsapevole:
“Ricordo una
domenica di due anni fa, in cui, come d’impulso, presi un quaderno e iniziai a
scrivere, a mano, come una volta. Le pagine scorrevano veloci, giorno dopo
giorno, mese dopo mese, creando una trama in cui gli eventi reali si
affiancavano a quelli creati dalla mia fantasia.”
Un duro lavoro
che ha coinvolto Giulietta per mesi, durante i quali ha dovuto studiare i testi
più importanti sulla storia recente della Val Sangone.
“Fondamentali
sono stati La resistenza alle porte di
Torino e La resa dei conti,
entrambi dello storico Gianni Oliva, ma anche il diario di Giuseppe Zanolli,
podestà di Giaveno ai tempi della Seconda Guerra Mondiale. Senza contare tutti
i testi di storia e gli archivi Internet, dove ho cercato documenti anche in
formato video e audio. E’ stato un gran lavoro, ma non posso dire che sia stata
anche una fatica: mi alzavo spesso già con idee nuove in mente al mattino
presto e non vedevo l’ora di poterle trasformare in racconto.”
Così, pian
piano, i personaggi di questa saga familiare hanno preso vita: il nonno
Giovanni Battista, uomo dolce e presente, la bisnonna altezzosa ed egoista, Maurizio
Guglielmino, ucciso dai nazisti al colletto del Forno. Cosa hai provato nel
narrare le loro storie?
“Nel
raccontare queste storie ho dovuto ripercorrere i giorni della resistenza a
Giaveno e in valle e ciò mi ha particolarmente toccato. Nonostante siano
trascorsi settant’anni rimangono ancora ferite profonde; io ho solamente
raccontato gli eventi senza esprimere alcun giudizio.”
Due anni di
lavoro hanno prodotto una gran quantità di materiale, come sei riuscita a
racchiudere tutto in queste pagine?
“In realtà il
testo originale comprendeva anche una terza parte, che per motivi di lunghezza
ho dovuto tagliare. Spero di poter presto riprenderla in mano e scrivere un
secondo romanzo”.
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