mercoledì 15 ottobre 2014

AA.VV., Venti di montagna, un'antologia di racconti ripidi, Echos edizioni


I dieci autori all'Ecomuseo di Coazze
Luciana Accomasso
Lina Cerrato
Elena Di Bella
Rocco Di Narbonne
Sara Goria
Anne-Mette Lund
Daniela Negro
Alesandro Piva
Sonia Rolando
Gabriella Tessa

a cura di Maria Teresa Carpegna 


In copertina grafite di
Vinicio Perugia
Non è semplice recensire un libro di racconti come Venti di montagna: le trame sono molte e diverse tra loro, gli autori, dieci in tutto, usano stili differenti e danno alla loro prosa un carattere particolare, che li distingue nettamente l’uno dall’altro. Certo, come si intuisce perfettamente dal titolo, il filo conduttore è appunto la montagna; non è facile, però, ricondurre ad un unico schema tutte le emozioni, i sentimenti, ma anche le avventure che la montagna può ispirare e che, da una semplice esperienza, possono venire trasformati in narrazione.
Ancor di più è difficile per me recensire un’antologia che ho praticamente visto nascere, nei corsi-laboratorio che ho condotto in diverse occasioni, sia nel rifugio Palazzina Sertorio, in Val Sangone, sia tra le mura della mia mansarda. 
Tutto ebbe inizio quasi un anno fa, il 30 novembre 2013, con un weekend trascorso nel rifugio, sotto un’abbondante e ovattante nevicata. Letture di grandi autori come ispirazione e guida, perché non ci si dimentichi mai che per poter scrivere bene bisogna leggere, e leggere di tutto. Poi, penna e blocco di carta alla mano, alla luce di tenui candele, sono nati i primi racconti, che ora vedono la ribalta della pubblicazione.
I generi letterari delle singole opere brevi sono ben diversi tra loro;  leggendo il libro, ci si trova di fronte a storie in cui l’impronta può essere sentimentale, oppure più riflessiva, ma anche dinamica. In molti di essi troviamo una narrazione più rapida, tipica di chi nella montagna vede lo scenario di imprese sportive, in altri lo stile, più cesellato, più descrittivo è quello delle opere psicologiche.
Dunque, come descrivere brevemente l’intera antologia?
In realtà c’è un filo conduttore che lega tutte le opere contenute, ed è rappresentato da una sensazione, creata dal silenzio, dalla solitudine, dalla bellezza talvolta incontaminata dei panorami e dei boschi. Ecco, questo è ciò che la montagna comunica inevitabilmente in chi cerca di percorrere i sentieri che si inerpicano su per le valli, sentieri sempre più stretti, sempre più ripidi.
La montagna come storia di genti e tradizioni, come superamento dei propri limiti, in una gara con se stessi; come visione della propria vita, in un parallelo con gli ostacoli che ogni giorno dobbiamo imparare a superare. La montagna si trasfigura, racconto dopo racconto, divenendo panorama meraviglioso, guscio protettivo e rifugio, natura perfetta a rischio di contaminazione umana, che talvolta sembra ribellarsi e reagire con violenza. I ghiacci, i boschi, la neve sono abitati da essere incantati e da animali magnifici, percorsi da spiriti non sempre benevoli.
Ecco gli stimoli che hanno dato l’avvio agli autori, che li hanno guidati nel dar vita a personaggi e a farli muovere lungo trame suggerite da quel che nessuno può insegnare: la fantasia.

Quarta di copertina
Tutto è cominciato con un weekend organizzato grazie alla collaborazione di Christian Ostorero, gestore della Palazzina Sertorio.
Abbiamo cercato, grazie a letture mirate, l’atmosfera che aiutasse a raccontare, che invogliasse ad entrare in quel mondo a parte che è la narrativa di montagna. È nata una collaborazione piacevole, fatta di risate, di silenzi e di letture, ma ammetto che salire sotto una forte nevicata e trovare nel rifugio quel favoloso calore rustico sia stato di grande aiuto. Alcuni racconti sono nati proprio in quella occasione, letti a voce alta dai loro stessi autori la sera, accanto al fuoco.
«Si scrive nella pace, nella tranquillità» spiega Rocco di Narbonne, «si vedono cose che altrimenti passerebbero inosservate, nella superficialità frettolosa di chi è preoccupato per altro». Il docente universitario, che scrive sotto pseudonimo, confessa di vedere la montagna come “il grembo capiente di madre natura”.
«Dovrebbe essere una fonte di vita, prima di tutto; se lo capiremo avremo qualche speranza di essere felici» precisa Elena Di Bella, torinese come Luciana Accomasso, che dei monti ama soprattutto i sentieri da percorrere. «Le idee migliori mi vengono mentre cammino; mi aiuta a srotolare i pensieri e a guardare avanti».
«L’ispirazione si “aggrappa” all’ambiente esterno, ma è già dentro di noi» dice Alessandro Piva, coazzese di adozione. «Ognuno di noi può ricevere l’impulso al racconto in un qualsiasi angolo di mondo. Anche una parola detta casualmente può fornire suggestioni, immagini molto utili».
Anche Anne-Mette Lund, danese di origine, sottolinea questo aspetto: «La montagna è per me un luogo esotico, che non fa parte della mia cultura; per questo lo considero un ambiente misterioso, perfetto per inventare storie».
Un luogo magari ostile, dove gli elementi sono ancora selvaggi e non controllabili, ma certamente dove il silenzio regna sovrano. Proprio alla quiete, al silenzio Lina Cerrato, che aveva solamente dieci anni in quei giorni, ha dedicato un racconto. È lui la presenza sottile e pregnante che trasmette energia agli scrittori.
«Mi sono avvicinata alla scrittura solo negli ultimi anni, ma adesso è diventata una costante delle mie giornate. I corsi mi hanno incoraggiata a mettere ordine al mio scrivere autobiografico, ad avvicinarmi a temi non necessariamente legati alle mie esperienze» è il commento di Gabriella Tessa.
«E a trovare il coraggio di mettersi in gioco, di far leggere i propri scritti» aggiunge Daniela Negro, insegnante come Gabriella. «Per una volta dovrò mostrare le mie opere e mettermi dalla parte dei miei studenti» sorride, ma si capisce che l’emozione è forte. Pubblicare significa rendere pubblico ed è comunque una prova emotiva non semplice da superare.
«Da anni scrivo poesie per sfogare emozioni» precisa Sonia Rolando, che ha già all’attivo delle raccolte poetiche e un romanzo, Controvento, pubblicato all’inizio dell’anno. «Il mio primo romanzo è stato una sfida con me stessa: vinta, inaspettatamente!».
«L’amore per la scrittura nasce leggendo» conclude Sara Goria, che abita in Val d’Aosta e che quindi, con le cime più alte d’Italia a pochi passi, di montagna se ne intende. A lei, autrice del romanzo Seconda classe, pubblicato la scorsa primavera, lascio il commento finale:
 «Leggere è come viaggiare senza aprire la porta di casa, ed è inevitabile che spinga a raccontare qualcosa, qualcosa che non sia stato ancora scritto, che coinvolga e che emozioni».

In questo progetto ha creduto la casa editrice Echos di Giaveno, a cui va tutto il mio ringraziamento, una piccola ma dinamica realtà editoriale della Val Sangone, con il cuore sul territorio e la mente sul mondo, che sta velocemente accrescendo le proprie competenze ed espandendo i diversi settori di attività editoriale.
Mi auguro davvero che Venti di montagna possa essere l’inizio di una nuova possibilità per la narrativa.
Presentazione alla biblioteca di Giaveno


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