venerdì 27 dicembre 2013

Il portafoglio

Siamo in un paese della Valle di Susa, nei giorni frenetici che precedono il Natale. Un uomo cammina su un marciapiede della sua cittadina, d’un tratto abbassa lo sguardo e vede un portafoglio; si china, lo raccoglie e lo apre.
A quel punto, se il portafoglio contiene del denaro, la tentazione di intascarlo sarà inversamente proporzionale all’onestà del soggetto. Se poi il contenuto del medesimo portafoglio elenca anche due bancomat e il foglietto con il codice segreto, ben scritto in modo da non correre il rischio di dimenticarlo, la tentazione sarà formidabile.
Ebbene, è proprio questo che è capitato a Lorenzo Moncalvo, che però non è un uomo pensieroso dallo sguardo basso, bensì un bimbo di otto anni che giovedì mattina, per mano a sua mamma, Laura Trivero, ha trovato sul marciapiede del centro di Buttigliera un portafoglio con le caratteristiche di quello della nostra scenetta.
- Come facciamo a restituirlo? – ha chiesto alla mamma, che ha subito capito il valore morale di quel gesto importante.
- Lo portiamo ai Carabinieri, così lo potranno ridare al proprietario – ha risposto soddisfatta. Poi, ripensandoci, ha creduto più urgente andare in banca, a bloccare il bancomat per evitare possibili complicazioni per il titolare.
- Non possiamo – le ha detto l’impiegato, - dobbiamo aspettare l’ordine del proprietario. -
Scuotendo la testa per l’assurdità della risposta, la signora è andata dai Carabinieri di Avigliana, dove uno stupito maresciallo ha subito iniziato le pratiche per rintracciare il proprietario, ma poi ha pensato che valesse la pena di spendere un po’ del suo tempo per complimentarsi con il pargolo:
- Bravo, sei stato un esempio per molte persone – gli ha detto stringendogli la mano. – Spero che la tua storia verrà pubblicata sul giornale. –
E così è stato.
Pubblicato sulla Valsusa del 12 dicembre.


martedì 24 dicembre 2013

Natale in famiglia

Cominciamo dall’inizio.
Siamo in una grande città, è la vigilia di Natale e le strade, benché ammantate di gelida nebbia, brulicano di persone che camminano ancor più velocemente del solito. Si sentono i saluti entusiasti, gli inviti, gli auguri; si vedono donne cariche di pacchi che rincorrono bambini gioiosi, uomini eleganti eccezionalmente sorridenti. Davanti alle chiese, mendicanti su carretti o coperte tendono la mano e mostrano cartelli improvvisati a tema natalizio: “Questa notte Santa io la passerò in strada da solo”; “Dammi gli avanzi, a me bastano”, e altre frasi strappalacrime che riescono a far cadere qualche monetina nel cappello.
Io, come ogni Natale, sono allegro; ma forse dovrei dire “come sempre”. Ho un bel carattere, me lo dicono tutti; dicono che io possieda la risata più cordiale e più contagiosa del mondo, ma ho anche una grande fortuna. Il mio lavoro fisso è ben pagato, ho sposato da poco una donna bellissima e gentile, con una boccuccia che pare fatta apposta per essere baciata, e che mi ama! Ho una bella casa calda e accogliente e, quel che più conta, tantissimi amici.
Domani sarà un gran giorno: la nostra piccola casa si riempirà di voci e di profumi; mia moglie sta cucinando da questa mattina un pranzo favoloso, che io, domani a tavola, criticherò un poco per prenderla in giro e sentire la sua bella voce ribattere una frase salace. Ci sarà anche sua sorella più piccola, quella rotondetta, che ti vien voglia di abbracciare; naturalmente abbiamo invitato anche il suo corteggiatore, quel ragazzone timido dalla voce di baritono. Mia moglie ha già messo i segnaposto perché si siedano fianco a fianco e sta organizzando una gara di Mosca Cieca, per permettergli di afferrarla fingendo di non vedere; credo sarebbe molto felice di averlo per cognato.
Sì, devo dire che anche i miei parenti sono meravigliosi. Be’, non proprio tutti; ma chi non ha un parente scorbutico e musone? E poi alla sua età bisogna perdonargli tutto, non credete? E in ogni caso, lui non verrà domani; non viene mai. Mia moglie dice che è meglio così, ma a me dispiace perché so che se venisse si divertirebbe, e continuerò ad invitarlo ogni anno.
Oh, ma guarda com’è tardi! I lampioni sono già accesi da un po’ e le vetrine dei negozi si stanno finalmente spegnendo, dopo tanti giorni di luce. La poca gente che ancora circola per strada sembra euforica e sorride in continuazione, ma ormai son quasi tutti a casa, a godersi il tepore della famiglia e a prepararsi per la festa di domani.
Ecco, anch’io sono arrivato alla soglia della mia casetta, con la ghirlanda di agrifoglio e i nastri rossi. Dentro mi accoglieranno i baci e gli abbracci della mia giovane moglie e quindi vi chiedo la cortesia di lasciarmi entrare da solo; in fondo abbiamo terminato da poco la luna di miele. Non vi offendete, vi prego, vi riaprirò per il pranzo di domattina.

Buon Natale! Buon Natale a tutti voi! Entrate, entrate. Allora, che ve ne pare? Non è una casetta meravigliosa? Oh! Oh! Oh!
Ops, scusate, non volevo ridervi in faccia, è che sono così felice che non riesco proprio a trattenermi. Ecco qui la mia adorata mogliettina, non è uno splendore? Dai, non arrossire, lo vedono bene da soli che lo sei!
Ecco, entrate nella nostra sala da pranzo; non è grande, lo so, ma ci stiamo tutti, basta stringerci un po’. Non è vero cognatina?
Guardatela com’è arrossita; ma intanto è ben felice che il suo ragazzone si stringa al suo fianco. Oh! Oh! Oh!
Basta con i complimenti, è ora di iniziare il pranzo di Natale. Lo so che voi non siete più abituati a questi piatti: porcellino arrosto, pasticcio di rognone, e poi le mele caramellate, le nocciole tostate, e tutti questi bei boccali di birra scura. Vorrei che poteste assaggiarli con noi. E forse anche i nostri giochi vi possono sembrare sciocchi o infantili, ma provateli anche voi. Il giorno di Natale provate a farvi gli Indovinelli o il gioco del Sì e del No; sfidatevi alle Penitenze, e vedrete che non c’è vecchio, bambino, sacerdote o acida zitella che non si diverta.
E dopo il pranzo, canterete con noi. Basta un po’ di voce e una buona dose di birra in corpo e tutti si trasformano in coristi.
Oh, ma che diamine c’è adesso? Il campanello? Vai, cara ragazza, lascia qui il vassoio e vai ad aprire; non sia mai detto che questa casa non è aperta a tutti il giorno di Natale! Ci servirai dopo, con calma, abbiamo tutto il tempo.
Allora, chi è? Su, apri quella porta, non sarà mica il demonio!
Oh, ma sei tu zio! Zio Ebenezer, entra entra. Guarda cara, guarda, c’è lo zio Scrooge!
Accidenti, ma lo avreste mai detto?

Alla fine ha accettato il mio invito, ed è rimasto fino a sera. Ha mangiato, bevuto con noi, ha cantato le carole e si è lasciato bendare per la Mosca Cieca. Ed io sono così felice che non riesco nemmeno a ridere, so che qualcuno lo farà, perché nulla di buono accade sulla terra, senza che qualcuno sulle prime si prenda il gusto di riderne.
Il Signore ci benedica e ci protegga tutti quanti.


venerdì 20 dicembre 2013

Scrivere sotto la neve

Un weekend di scrittura alla Palazzina Sertorio, immersi nella prima neve d’autunno.

Le previsioni avevano annunciato una leggera nevicata a partire dal primo pomeriggio di sabato 30 novembre; alle 13, invece, sul piazzale sopra il santuario di Forno, c’era già una buona spanna di neve, e così sulla strada.
Abbandonate le auto, infilati gli scarponi e gli  zaini, la comitiva di neo-scrittori si è incamminata sotto i fiocchi gelati, accompagnati da un panorama fiabesco e da una buona dose di entusiasmo, fino alla Palazzina Sertorio. Là, nell'incanto del silenzio ghiacciato, l’accoglienza è stata magica: stufa scoppiettante, teiere colme di tè caldo e biscotti al burro.
Qualche ottima lettura come introduzione: Camanni, Hemingway, Krakauer, Perissinotto, Malvaldi; spunti per un’ispirazione che non tarda ad arrivare e, non appena le dita riprendono a muoversi in modo regolare, via alle Bic e ai blocchi di carta.
Niente tablet o portatili, niente luce elettrica: per questo weekend  torniamo alle origini, con carta e penna e lume di candela. Il silenzio è profondo, il crepitio dei ceppi nel focolare è l’unico suono nella stanza. Christian Ostorero, con passo felpato, entra con pentoloni invitanti e solleva coperchi che sprigionano tentazioni.
All’ora di cena ecco i primi racconti completati: ce li leggeranno gli autori stessi dopo cena, trasportandoci nelle atmosfere incantate della fantasia.
La notte è fredda, ma i sacchi a pelo e i calzettoni ci cullano fino al mattino dopo, quando scendiamo nel salone per una colazione da campioni.
Simone e Giovanni Periale arrivano alla Palazzina con l’ultima iscritta, raccontandoci di un sole luminoso che non toccherà le mura della palazzina di caccia fino al 24 gennaio, quando la rotazione terrestre lo porterà di nuovo a salire.
Qualche altra lettura e di nuovo scorrono le parole sui fogli bianchi e, prima del pranzo luculliano, altri racconti vengono letti dai loro autori.

Non è una gara, ma una condivisione di emozioni e di parole, in cui comunque non posso non sottolineare la presenza di Emma e Lina, dodici e dieci anni, che, con i loro racconti, hanno stupito e commosso tutti i presenti. 
Arrivederci a primavera.

mercoledì 11 dicembre 2013

1000 idee per un libro

Sabato 14 e domenica 15 dicembre la Fiera del Libro ha fatto il suo debutto a Giaveno.
Ventidue autori locali si sono incontrati nella splendida coreografia del salone di Villa Favorita, e hanno presentato le loro opere, affiancati da Case Editrici e Professionisti dell’editoria.
Organizzata dalla Città di Giaveno con l’Assessorato alla Cultura,  la prima Fiera del Libro dedicata agli scrittori locali è una iniziativa che porta ad avvicinare autori e lettori, a farli incontrare in un luogo perfetto per uno scambio di idee o una piacevole conversazione culturale.
«Il territorio vanta una ricca presenza e attività di scrittori: giovani autori, studiosi, appassionati, storici con all’attivo una produzione vasta e varia. A loro l’Amministrazione Comunale vuole offrire una iniziativa di vetrina e di incontro, in cui presentare il proprio volume e per tramite delle librerie e o dell’editore venderlo. Nel periodo natalizio l’iniziativa suggerisce anche un buon dono incentivante la lettura a tutte le età e per tutti» spiega Flavio Polledro Consigliere delegato all’Assessorato alla Cultura.
Ciò di cui spesso si rammaricano gli stessi autori è proprio la mancanza di un contatto diretto col pubblico, di un luogo d’incontro privilegiato, che ponga le basi per una conoscenza delle loro opere e della produzione letteraria locale.
Daniela Ruffino, sindaco di Giaveno, spiega da dove è nata questa idea:
«Giaveno e la valle sono particolarmente ricche di protagonisti culturali, molti sono gli scrittori che vivono qui, alcuni lo sono di professione, altri nutrono una grande passione per la scrittura, altri ancora sono mossi dal desiderio di ricercare e far conoscere vicende storiche e del passato conosciute e poco conosciute secondo approcci diversi. A loro abbiamo pensato nel realizzare questa Fiera che vuole soddisfare parallelamente il bisogno di promuovere la lettura, il piacere e il valore della lettura e attraverso gli scritti sulla storia locale il nostro passato e le nostre tradizioni.».

Ho avuto il piacere di presentare
sabato 14  Giulietta Gastaldo
domenica 15 Patrizia Boscaro
domenica 15 Sonia Rolando

giovedì 5 dicembre 2013

Giulietta Gastaldo, Prigionieri di un passato, Il Punto

Le giornate trascorrono lentamente per Ludovica; giunta ormai al tramonto dei suoi giorni, siede per lunghe ore sulla stessa sedia, a guardare attraverso il vetro della grande finestra. Il suo sguardo si perde lontano, oltre il giardino di quella casa di Giaveno, amata ed odiata nello stesso tempo, oltre le cime di quei monti che non sono mai stati per lei un rifugio.
La piccola Giulia osserva di nascosto la nonna, impaurita da quella strana immobilità, ma ancor di più dalle sue reazioni improvvise, dagli sguardi severi, dalle frasi taglienti. Forse è normale, per chi vede la vita volgere al termine, provare tanta rabbia per il passato, aspettare qualcosa che non verrà più; ma la piccola Giulia non può sapere il motivo di tanto rancore, non conosce i segreti di quella donna e del suo passato.
Eppure proprio Ludovica dovrebbe capire quella piccola, lei che nell’infanzia era succube dei capricci della madre, che solo dal nonno riceveva l’affetto che desiderava.
Era tanto tempo fa, la Torino di inizio Novecento era una città splendente di luci e di speranze. Le donne si vestivano con calze di seta e colli di pelliccia e gli uomini le accompagnavano a teatro e a passeggio per i viali alberati della città. Ludovica viveva in una bella casa, circondata da artisti: il nonno Giovanni Battista lavorava al famoso teatro dei burattini, suo fratello Edoardo, burattinaio, era spesso in tournée con il suo spettacolo e il giovane Antonio Mario, lo zio di Ludovica, era avviato verso una brillante carriera di decoratore.
Poi era arrivata la guerra e tanti giovani erano partiti per non tornare più. Arrivavano lettere terribili e i soldati che riuscivano a sopravvivere e rivedere i loro cari, spesso venivano accolti con diffidenza, come se non si fosse certi del valore dimostrato da loro in trincea.
Era iniziato un periodo buio, l’inverno dell’Italia. Ludovica, giovane sposa e mamma, aveva visto l’ascesa di Mussolini e aveva assistito, senza poter fare nulla, alle scelte aberranti di un personaggio ai limiti della follia. Col passare degli anni il fascismo era entrato nel pieno del suo vigore ed era iniziata una guerra ingiusta e smisurata. La gente aveva cominciato ad aver paura: le violenze contro chi non era fascista, le restrizioni e i fanatismi crescevano di anno in anno. I giovani, partiti come soldati, scomparivano nel rovente deserto africano o nelle steppe della pianura russa; chi li aspettava a casa pativa la fame e la miseria.
Ludovica, già provata da lutti e privazioni, era dovuta fuggire da una Torino irriconoscibile fin sui monti della val Sangone, nel cuore la speranza di tornare presto alla sua adorata città. Non avrebbe mai immaginato di dover vivere sradicata da tutte le sicurezze, di dover assistere a violenze indicibili, di cui anche la sua famiglia sarebbe stata vittima.
Ed ora, a distanza di decenni, Giulia non può capire, non può nemmeno immaginare, nella sua innocenza di bambina, cosa hanno visto gli occhi di quella anziana donna nella sua gioventù, non sa a quali violenze suo padre abbia dovuto assistere da ragazzino.
Un percorso di scrittura iniziato con il ritrovamento di fotografie e lettere di famiglia ha condotto Giulietta Gastaldo lungo i destini di antenati e parenti quasi sconosciuti, alla scoperta dei segreti di un passato che sembrava perduto, fino alla rivelazione inaspettata del vero tesoro di ogni famiglia: i ricordi.

La piccola Giulia si affaccia sulla soglia della cucina: seduta davanti alla finestra c’è la nonna, immersa nei suoi ricordi, e la piccola la osserva intimorita. Qualcosa ha attirato lo sguardo dell’anziana donna, che ora, disturbata dalla presenza della bambina, la rimprovera, facendola fuggire. E’ questo l’inizio di un lungo racconto che coinvolge e affascina il lettore per tutte le trecento pagine di Prigionieri di un passato,edizione Il Punto.
Incontriamo l’autrice, Giulietta Gastaldo, alla vigilia dell’uscita del suo romanzo nelle librerie.
“Tutto è nato quasi casualmente” spiega lei  emozionata. “Abele Bergeretti mi aveva chiesto informazioni su mio bisnonno, il pittore Antonio Mario Guglielmino. Così mi sono messa alla ricerca dei documenti di famiglia e quel che ho trovato è stata una scoperta entusiasmante. Sapevo che in casa c’erano delle carte, ma mio padre e mia nonna non avevano mai voluto mostrarmi niente; è stata una vera e propria caccia al tesoro tra gli eventi che hanno coinvolto la mia famiglia, sia tragici che lieti. ”
Nella sua ricerca Giulietta ha scoperto cartoline, fotografie, riduzioni in scala dei dipinti che avevano reso celebre il prozio pittore, e poi libretti militari, lettere, annuari; e ogni sorta di ricordo scritto legato alla storia di una famiglia in cui la vita privata è annodata strettamente alla storia nazionale.
Dal ritrovamento alla scrittura il passo è stato quasi inconsapevole:
“Ricordo una domenica di due anni fa, in cui, come d’impulso, presi un quaderno e iniziai a scrivere, a mano, come una volta. Le pagine scorrevano veloci, giorno dopo giorno, mese dopo mese, creando una trama in cui gli eventi reali si affiancavano a quelli creati dalla mia fantasia.”
Un duro lavoro che ha coinvolto Giulietta per mesi, durante i quali ha dovuto studiare i testi più importanti sulla storia recente della Val Sangone.
“Fondamentali sono stati La resistenza alle porte di Torino e La resa dei conti, entrambi dello storico Gianni Oliva, ma anche il diario di Giuseppe Zanolli, podestà di Giaveno ai tempi della Seconda Guerra Mondiale. Senza contare tutti i testi di storia e gli archivi Internet, dove ho cercato documenti anche in formato video e audio. E’ stato un gran lavoro, ma non posso dire che sia stata anche una fatica: mi alzavo spesso già con idee nuove in mente al mattino presto e non vedevo l’ora di poterle trasformare in racconto.”
Così, pian piano, i personaggi di questa saga familiare hanno preso vita: il nonno Giovanni Battista, uomo dolce e presente, la bisnonna altezzosa ed egoista, Maurizio Guglielmino, ucciso dai nazisti al colletto del Forno. Cosa hai provato nel narrare le loro storie?
“Nel raccontare queste storie ho dovuto ripercorrere i giorni della resistenza a Giaveno e in valle e ciò mi ha particolarmente toccato. Nonostante siano trascorsi settant’anni rimangono ancora ferite profonde; io ho solamente raccontato gli eventi senza esprimere alcun giudizio.”
Due anni di lavoro hanno prodotto una gran quantità di materiale, come sei riuscita a racchiudere tutto in queste pagine?
“In realtà il testo originale comprendeva anche una terza parte, che per motivi di lunghezza ho dovuto tagliare. Spero di poter presto riprenderla in mano e scrivere un secondo romanzo”.






sabato 23 novembre 2013

Patrizia Boscaro, Un tatuaggio è per sempre

Milena ha solo sette anni quando incontra per la prima volta i Testimoni di Geova; due donne gentili, sorridenti e molto disponibili erano entrate in casa loro, invitate dalla madre di Milena.
«Non vi piacerebbe vivere in una terra paradisiaca, in pace con tutti?» avevano detto a lei e alla madre. Da quel giorno molte altre visite si erano susseguite, e dopo sei mesi fu il loro turno di andare a visitare la Sala del regno. Milena fu affascinata da quella gente così buona con lei, così pronta ad accoglierla; si sentì ben voluta come mai le era accaduto e, dopo qualche tempo, chiese di far parte di quella comunità.
Capiva che c’era qualche regola non facile da seguire, che la rendeva diversa dai suoi coetanei, ma l’amore che le regalavano i Testimoni di Geova era più importante.
Finalmente giunse il momento di diventare predicatrice e poi di essere battezzata; Milena entrò nella vasca con entusiasmo e sicurezza. Ma da quel giorno tutto cambiò. Il campanello di casa si zittì e le amiche, che tanto le erano state vicine prima del battesimo, erano scomparse: nessuno stava più con lei, perché il compito del Testimone è fare nuovi proseliti, e non tenere compagnia a quelli già convertiti.
Fu la prima di una lunga serie di delusioni e sofferenze per Milena, la cui vita, da quel momento, subì tante sconfitte e ripensamenti.

«Conobbi la vicenda della mia amica qualche tempo dopo aver cominciato a lavorare con lei» spiega Patrizia Boscaro, autrice di Un tatuaggio è per sempre. «Era un’ottima impiegata, ma introversa e chiusa. Un giorno arrivò in ufficio sconvolta: suo marito l’aveva inseguita con il furgone, mentre viaggiava sullo scooter. Era una Testimone di Geova e dovette passare ancora moltissimo tempo prima di potersi finalmente sentire di nuovo libera. Decisi di scrivere la sua storia perché altri potessero conoscerla.»
Purtroppo la sua è una vicenda più comune di quanto non si pensi: le persone attirate da questi gruppi, che sentono il fascino di una comunità apparentemente amorevole, sono moltissime.
«In questo mondo di conoscenze virtuali, è facile essere attratti da chi ci fa sentire amati. I movimenti religiosi non tradizionali, anche in questi giorni di scetticismo religioso, si prodigano per aiutare un’anima in difficoltà e questo funziona da calamita.»
Leggendo il tuo libro ho provato una grande simpatia per Milena, che è naturalmente un nome di fantasia, e un forte desiderio di poterla aiutare. Com’è possibile farlo?
«Purtroppo è quasi impossibile, finché una persona fa parte dei Testimoni di Geova, provare ad aiutarla, provare a farla uscire. All’interno della comunità, sebbene quasi segregati, sono il ritratto della serenità.»
Fortunatamente la storia di Milena si è conclusa bene: dopo una serie di grandi delusioni, è riuscita a rifarsi una vita fuori dal gruppo. E anche a concedersi cose prima proibite, come appunto un tatuaggio.
«L’incontro con il tatuatore è accaduto realmente e, nella prima versione del libro, tagliata in parte dall’editore, c’erano molti dialoghi tra i due personaggi. Era lui che mostrava i sentimenti di rabbia e incredulità che ho provato io, al racconto di Milena.»
Una rabbia che forse la sua famiglia non aveva provato?
«Certo, una famiglia unita e presente avrebbe potuto impedire il destino della mia collega, ma non solo. Un carattere docile e remissivo e una buona dose di ingenuità hanno fatto il resto. Strano come una qualità importante come la generosità sia stata, in questo caso, un ostacolo alla serenità di Milena; si tratta però di una generosità sprovveduta, frutto della giovane età e dell’inesperienza.»

Per acquistare il libro Un tatuaggio è per sempre, potete rivolgervi a
oppure inviate una mail direttamente a questo blog.

Per aiutare chi è stato soggiogato da un movimento religioso alternativo:
centro studi Abusi Psicologici  Torino  http://www.cesap.net/





venerdì 15 novembre 2013

Stefania Bertola, Ragazze mancine, Einaudi

Quando Stefania Bertola è entrata alla Casa dei Libri di Rivalta, nel tardo pomeriggio di sabato 16 novembre, ha dovuto letteralmente fendere la folla, per arrivare alla postazione in fondo alla libreria. Del resto è ormai dal 1989 che i suoi libri compaiono sugli scaffali, a cominciare da Luna di Luxor, recentemente ristampato dalla casa editrice Salani, fino al recentissimo Ragazze mancine, per un totale assolutamente ragguardevole di dieci libri pubblicati. I suoi fedelissimi lettori sono dunque numerosi e, soprattutto, curiosi.
“Mi piace pensare che i miei libri vengano letti un po’ da tutti, non solo da donne o ragazze” dice con la sua voce morbida e rilassante. “Amo scrivere e amo raccontare storie, che siano piacevoli e, possibilmente, che facciano ridere.”
Obiettivo raggiunto, a giudicare dalle teste che annuiscono tutto intorno, corredate di sorrisi soddisfatti.

“Purtroppo non posso soltanto scrivere libri, anche se mi piacerebbe, come mi piacerebbe leggere, viaggiare, guardare film, chiacchierare, ma purtroppo mi tocca lavorare e siccome quello che mi riesce meglio è scrivere, cerco di approfittarne”.
Per sette anni impiegata nell’ufficio stampa della casa editrice Einaudi, traduce romanzi di scrittori come Philip Roth, Tom Wolfe, John Le Carrè, scrive sceneggiature e programmi radio, in collaborazione con attori del calibro di Michele di Mauro e Luciana Littizzetto. Una persona instancabile?
“Niente affatto” sorride, “come ho detto la scrittura mi viene facilmente, ma ciò non significa che non debba faticare anch’io. Quando comincio un romanzo ho sempre ben chiari in mente l’inizio e la fine di una storia, poi lavoro per aggiungere particolari, sottotrame, personaggi. Ci vogliono dei mesi perché la mia idea iniziale si trasformi in romanzo.”
Come Ragazze mancine, ad esempio?
“L’idea mi è venuta osservando alcune coetanee delle mie figlie: in loro la crisi economica, che sentono eccome, non ha causato tutti i problemi che abbiamo noi. Si scambiano vestitini, lavorano ovunque, si adattano con filosofia e serenità. Allora ho pensato: cosa capiterebbe ad una ragazza che non ha mai avuto problemi economici che si trova a dover vivere con pochissimo denaro? Et voila.”
Sì, perché tutta la vicenda ha inizio quando il marito imprenditore della suddetta ragazza fugge dopo aver fatto fallimento, ma, invece di restare su una protagonista afflitta e arrabbiata, la trama si diverte ad inserire una seconda protagonista, incontrata in un parcheggio di un grande autogrill vicino a Novara.
“Sono sempre stata affascinata dagli autogrill a cavallo delle autostrade: questa idea che si possa entrare da un lato ed uscire dall’altro mi ha sempre solleticato la fantasia. Era venuto il momento di scriverci qualcosa attorno.”
Attorno, sopra, sotto e dentro, aggiungerei: Ragazze mancine ha una ricchezza di colpi di scena, personaggi bizzarri e dialoghi brillanti da avvinghiare il lettore fino all’ultima pagina e farlo sperare che, finalmente, qualche regista dallo sguardo lungo ne tragga un film.



Stefania Bertola, Ragazze mancine, Einaudi

Una laurea in Lettere è il titolo di studio che “quasi azzera il rischio di trovare lavoro”, ne è ben consapevole Adele, lettrice curiosa, grande amante dei viaggi, dei musei, delle mostre, nonché delle riviste femminili. Con un marito ricco, anzi, molto ricco, e poco presente, la sua vita di intellettuale-mantenuta sarebbe stata favolosa. Sarebbe, se il marito suddetto non avesse avuto nel sangue anche una discreta dose di disonestà, che ha portato la sua rinomata ditta biellese di sofficissimo cachemire al fallimento, e la sua persona fisica in fuga verso un paese sconosciuto.
E a poco serve l’apparente frugalità di Adele, che le fa evitare telefonini ultimo modello, auto di lusso e apparecchi elettronici da mostrare come trofei. Non fosse per qualche gioiello di valore, peraltro svanito nei conti delle banche, Adele non sarebbe certo una spendacciona. Certo è che adesso, dopo la fuga, ma che dico, la sparizione del suddetto marito, le riviste deve recuperarle nei bidoni della carta, e un lavoro deve anche cercarselo.
Nessun aiuto dal parentado: sua madre, dopo un breve periodo di ospitalità forzosa, la scarica volentieri altrove; il cognato, che si è tenuto ben stretto il ramo a pieno regime della sua quota aziendale, le trova un lavoro da stiratrice e poi si dilegua.
Mai più avrebbe pensato, la nostra deliziosa pigrona dai capelli rossi, di ricevere una mano tesa da una scriteriata ragazza in fuga dall’autogrill, con bambina al seguito.
Ci sono tutti gli ingredienti per un romanzo rocambolesco: decine di personaggi stravaganti e inconfondibili, inseguimenti, colpi di scena, un pizzico di sesso e tanto tanto umorismo.

Anche questa volta Stefania Bertola ha fatto centro; con il suo romanzo Ragazze mancine trascina il lettore, anche il maschio più rude, nel tourbillon di batteristi rock, avvocati divorzisti e ricchi imprenditori a caccia di gioielli, sì, perché tutto riporta a un prezioso medaglione…

Stefania Bertola, Romanzo rosa, Einaudi

Cosa spinge una bibliotecaria di cinquantotto anni a frequentare il corso Come scrivere un romanzo rosa in una settimana, che la scrittrice Leonora Forneris tiene al Circolo dei Lettori?
La noia? Niente affatto, Olimpia è pienamente soddisfatta della sua vita in mezzo ai libri e ai lettori, e torna sempre con grande gioia al suo appartamentino con gatto e microonde. Inoltre le sue due nipoti, Blu e Porporina, riempiono già abbastanza le sue giornate con le loro stravaganze.
La curiosità, allora? Forse, a giudicare dai compagni di corso così bene assortiti tra mamme indaffarate, signore distinte che mai e poi mai lascerebbero la loro Pelikan per  un portatile, e uomini curiosamente attratti dagli animali e dalle crudeltà medioevali.
Magari anche il vile denaro potrebbe essere uno stimolo, ma non si fa illusioni la nostra pragmatica single attempata, benché l’aver notato Leonora Forneris, alias Maevis Glengarry, allontanarsi dal Circolo dei Lettori su una favolosa limousine le abbia messo qualche pulce nell’orecchio. Possibile che scrivere libri per la celebre collana Melody, equamente spartita in sottocollane affascinanti come Melody History, Melody College o Melody Naufragio Romantico, possa rendere vergognosamente ricchi?
Non resta che provarci , ed è esattamente quello che sta per fare Olimpia, e non da sola.
Già, perché tra un’occhiataccia e un sorrisino, gli iscritti al corso di Leonora devono scrivere un Melody in  soli sette giorni, anzi otto. E dovranno lavorare sodo, perché un Melody che si rispetti, storico, erotico o modaiolo che sia, dovrà seguire regole precisissime, pena l'espulsione dal corso.


mercoledì 13 novembre 2013

Il micromuseo

Il bello di avere una casa molto frequentata è che si possono trovare, sparsi in giro e negli orari più disparati, oggetti curiosi e stravaganti, dimenticati dagli ospiti di passaggio. Se poi la casa è anche piuttosto piccola, gli oggetti saranno concentrati su un paio di tavoli, ripiani, scaffali e, nei casi più difficili da gestire, anche su sedie e parquet. In questo modo l’abitazione, già di per sé curiosa, data la notevole quantità di spigoli che percorrono ovunque il soffitto e gli spazi che sfidano geometricamente Euclide, diventerà una via di mezzo tra un museo antropologico e un magazzino ferroviario.
A parte i banalissimi libri, volantini e manoscritti, in casa nostra si possono trovare qua e là, in una elencazione che va dal consueto al bizzarro: chiavi, occhiali, ombrelli, golfini, foulard, dolciumi che farebbero invidia a Willy Wonka, teglie, contenitori di plastica di e non di marca, imparaticci ai ferri, candele, auricolari, strani oggetti dai nomi triplamente composti come affila-motoseghe, filtra-tè-a-molla o fojot-per-bagna-cauda, più una inconcepibile quantità di cappelli e coltelli a serramanico.
Va detto che, in questo nostro rigattieresco accumulo, raramente ci troviamo di fronte a creature viventi, fatta eccezione per un riccetto che mia figlia aveva accudito per tre giorni (non chiedetemi la conclusione di questa tragica storia) e di una famiglia di girini rivelatisi cannibali.
Così, quando nei giorni scorsi ho trovato una vaschetta di terra, accanto alla caffettiera e alla scodella in cui fermenta lo yogurt (forse anche questa prolifica colonia di batteri andrebbe inserita nelle creature viventi), ho temuto si trattasse di: a) un allevamento di lombrichi di mio figlio; b) un esperimento di mia figlia sulla putrefazione.
E’ stato quindi con un certo sollievo che ho accolto questa piccola serra, in cui mio marito studia un nuovo tipo di coltivazione erbacea in cattività. Non sapevo, ahimè, che avrei dovuto assistere giorno dopo giorno all’irrigazione del microcampo con spruzzino, all’arieggiatura del microprato e alla falciatura (con forbici per capelli) della microerba.
Così, quando questa mattina ho visto mio marito brandire la mia spazzola per capelli, ho subito intuito che non fosse per la sua chioma ormai rarefatta e lunga quanto una foglia di rosmarino: stava andando a rastrellare il prato.



mercoledì 6 novembre 2013

Un tranquillo weekend di scrittura

Sabato 30 novembre e domenica 1 dicembre 
Un weekend di scrittura narrativa alla Palazzina Sertorio, l'Osservatorio per l'Ambiente dell'Alta val Sangone.

Un'ora di cammino su mulattiera verso gli alpeggi del Sellery e il colle della Rossa, passando accanto alle vecchie borgate e alla famosa Loia Scura, ci porterà all'ambiente rustico e raccolto della antica palazzina di caccia.
L'inizio del corso è previsto per le ore 15 di sabato pomeriggio, dove potremo leggere brani dei migliori autori che si sono ispirati alla montagna nell'atmosfera accogliente della sala del rifugio. Insieme scopriremo le metodologie e le intuizioni che hanno reso memorabili le loro opere e proveremo a seguirne le tracce, scrivendo a mano sui nostri quadernetti, rigorosamente a lume di candela.
Christian Ostorero ci coccolerà con la sua cena, e alla sera, nel tepore della sala, leggeremo le nostre creazioni, incoraggiati magari da un bicchiere di vino rosso.
Il mattino, dopo una corroborante e golosa colazione, riprenderemo le letture e i nostri quadernetti, fino al pranzo. Dopo pranzo ci sarà ancora un momento dedicato ai racconti, prima del ritorno a casa.

Il costo del soggiorno, che prevede la cena di sabato 30, il pernottamento, la colazione, il pranzo del 1° dicembre e il corso di scrittura è di 60 euro.

Per informazioni e prenotazioni:
mariateresa.carpegna@gmail.com  tel. 3383938543
osservatorioperambiente@gmail.com  tel. 328218504
    


martedì 29 ottobre 2013

Paolo Repossi, L'erba che fa il grano, Instar


Rimango ogni volta stupita di quanto sia meraviglioso chiudere un libro e poco dopo incontrarne l’autore. Quando un romanzo mi appassiona e mi coinvolge, nel corso della lettura entro in sintonia con chi scrive. I personaggi diventano vivi, assumono le fattezze di persone che potrei aver conosciuto, le vicende che li legano sono anche le mie e mi ritrovo a condividere o a condannare le loro scelte. Con trepidazione, li vedo infilarsi in situazioni difficili e dolorose e mi emoziono per un evento felice.
Così, con L’erba che fa il grano, ho vissuto fianco a fianco con Pietro, il nonno dei Mezzadra, che piantava una quercia per ogni nascita; ho visto i nipoti venire alla luce, crescere; ho cercato di capire con quale intuizione la mamma Lucia avesse trovato per loro il nome perfetto, che li avrebbe avviati al loro destino.
Così quando Pietro il giovane, nipote del vecchio Mezzadra, è partito per la guerra ho trepidato per lui; quando il ribelle Libero ha abbandonato il lavoro dei campi per inseguire il suo sogno ho sentito l’entusiasmo e il timore avvolgermi.
«Ognuno dei miei personaggi è vivo nella mia mente» ha spiegato Paolo Repossi all’incontro nella libreria La Casa dei Libri di Rivalta. «Scelgo per loro il destino e cerco di renderlo nel migliore dei modi sulla carta.»
Per questo, durante la presentazione, ho scelto di leggere brani che rappresentassero i diversi caratteri dei personaggi. Così Libero non sopporta le persone che camminano piano, “diceva che così camminano quelli che hanno fatto i soldi” e l’intraprendente Nella ha un modo di salutare che contiene già un giudizio: “Non era mai un ciao e basta, era quasi sempre un ciao più qualcos’altro, di solito un ciao e va’ a quel paese.”
La scrittura asciutta e veloce di Repossi scivola rapida lungo gli eventi del Novecento italiano, che contornano i fatti di una famiglia numerosa, venuta dalla terra, ma diretta verso ogni possibile futuro.
«Non posso dedicare molto tempo alla scrittura, al massimo, un’ora al giorno» sorride al pubblico lo scrittore. «Per questo ho diviso il romanzo in rapidi episodi, in capitoli brevi che si concludono, ognuno concatenato con i successivi.»
Anche il romanzo sembra seguire un andamento ciclico, con allontanamenti e ritorni, con bruschi cambi di direzione e ricongiungimenti, in una spirale che riporta sempre alla famiglia, al ricordo delle origini e ai legami indissolubili che hanno creato. Basta un’unica frase, quasi al termine del romanzo, per comprendere questo:
“C’è sempre un momento, nella vita delle persone, in cui cambia un po’ l’aspetto e improvvisamente si somiglia a qualcuno. Quinto adesso sembrava la copia esatta di suo padre.”

 

 

giovedì 10 ottobre 2013

Massimo Tallone, Il diavolo ai giardini Cavour, E/O


Quando il signor Azalea varca la soglia dell’agenzia immobiliare di piazza Cavour, con il suo completo turchese e il farfallino rosso papavero, il Gufo, titolare della medesima agenzia, annusa subito profumo di soldi. Lo fa accomodare e resta in educata e curiosa attesa, mentre l’azzimato damerino espone la sua richiesta. Il suo volto allenato riesce a non far trasparire il benché minimo stupore, sebbene per un istante abbia vacillato, nonostante la sua gigantesca esperienza in fatto di stranezze. Una casa in cui sia stato commesso un omicidio efferato, ancor meglio se multiplo, ecco il desiderio del signor Azalea; se poi il sangue che ha imbrattato muri e pavimenti fosse ancora fresco, si potrebbe persino alzare la già generosissima offerta.
Anna, la decisa segretaria, e Vienna, collaboratore discreto e delicato, ascoltano la richiesta strampalata augurandosi che, per una volta, il Gufo non si scagli a corpo morto in un’impresa assurda, trascinandoli con il suo serafico entusiasmo in una situazione complessa.
Speranza vana, nel giro di pochi giorni si ritroveranno invischiati in un delitto tanto efferato quanto originale, con la polizia che ronza in continuazione come uno sciame di mosche attorno all’agenzia e una presenza misteriosa quanto allarmante che sembra non mollarli un momento.
La Torino magica e demoniaca dà lo spunto all’umorismo di Massimo Tallone, che costruisce il suo nuovo giallo tra riti crudeli, riflessioni filosofiche e momenti di una comicità così trascinante da farci precipitare alla fine del romanzo, dove, una volta arrivati, non possiamo che rimpiangere di aver già finito. 

Massimo Tallone
è stato con noi alla
Casa dei libri di Rivalta
 sabato 12 ottobre
 

giovedì 12 settembre 2013

Joel Dicker, La verità sul caso Harry Quebert, Bompiani


Recensire un romanzo che da settimane è ai primi posti nelle classifiche è forse un azzardo, ma, dopo aver continuato a ripensarci, credo di non poter più  rinviare il momento. La verità sul caso Harry Quebert è un libro meraviglioso, che può piacere ad ogni tipo di lettore, sempre che si possa decidere di inserire i lettori in categorie.
Innanzitutto si tratta di un poliziesco, in cui l’intrigo viene svelato nelle prime righe, stuzzicando il lettore con le parole di Deborah Cooper, anziana e terrorizzata signora che vive sola in una casa vicino al bosco: “Credo di avere appena visto una ragazza inseguita da un uomo nella foresta.”
Era il lontano 1975 e Marcus Goldman, protagonista e narratore, non era ancora nato. Eppure toccherà a lui raccontare tutta l’intricata vicenda, non da poliziotto, bensì da scrittore di successo, momentaneamente in crisi creativa. La sua fama, lanciata all’improvviso dal suo primo libro, sta lentamente declinando e i giorni, le settimane, passano senza che nemmeno una riga esca dalle sue dita. O meglio, qualcosa scrive, ma nulla gli sembra all’altezza della sua stessa notorietà.
A tendergli una mano arriverà il suo mentore Harry Quebert, suo vecchio professore ed amico, alle cui perle di saggezza sono dedicate le righe di apertura di ogni capitolo. Lo ospiterà nella sua casa vicino al mare, dove ormai trentatré anni prima era scomparsa Nora Kellergan.
E’ un uomo chiuso ma affabile, Harry Quebert, e impareremo a conoscere il suo carattere introspettivo ed enigmatico nel corso della narrazione; così come conosceremo i tanti altri personaggi, diversissimi tra loro, con nomi strani, evocativi e inconfondibili. Le loro vicende si sviluppano su due piani temporali, arricchendo di sottotrame il plot apparentemente lineare del romanzo. 
Così pagina dopo pagina, capitolo prima di capitolo (la numerazione è a ritroso), il romanzo muta, diventa romanzo di formazione, con l’adolescenza scolastica di Marcus, astuto mediocre che diviene “Il Formidabile”, per cui l’incontro con il prof. Quebert sarà il germe di una nuova vita. Diventa romanzo a sfondo sociale mostrando lo spaccato di una cittadina chiusa nel pettegolezzo e nella diffidenza, i cui scheletri emergono pan piano dagli armadi. Scivola nella storia d’amore, infelice, potente e contrastato dalla convenzioni sociali. Tutto ciò senza mai perdere l’ironia e le sottili allusioni di una scrittura che ci fa dubitare se in fondo non si tratti che di un gioco di specchi.
Dialoghi perfetti, personaggi comici o patetici, racconti nel racconto, consigli di scrittura e lettura, una serie continua di colpi di scena: tutto ammicca ad un gioco narrativo col lettore che, al momento di scoprire le carte, sorride soddisfatto.

 

mercoledì 4 settembre 2013

Corso di scrittura narrativa


 Il racconto 

Giovedì 26 settembre è iniziato alla Biblioteca di Giaveno, in via Francesco Marchini 2, il mio corso di scrittura narrativa.
E' articolato in cinque lezioni-laboratorio, della durata di due ore ciascuna. 

Il corso è indirizzato a coloro che vogliono accostarsi al mondo della scrittura e conoscerne le tecniche di base.  

Lo scopo del corso è familiarizzare con i diversi generi del racconto, con le parti che lo compongono, la sua struttura e le sue particolarità, diverse per ogni autore. Cercheremo così di incanalare la nostra energia creativa in una produzione letteraria omogenea ed equilibrata, grazie anche alla collaborazione nel gruppo, per rendere la nostra comunicazione più efficace e piacevole.
Ogni sera sarà dedicata ad un aspetto chiave della narrativa breve, secondo questo calendario: 

1 . Impulso, idea, ispirazione.
     Dove nasce il racconto?
2 . Strutturare una trama, svilupparla e portarla a termine.
     Creare l’attesa e non deluderla.
3 . Il punto di vista.
     L’evento è sempre identico?
4 . I personaggi.
     Chi crea l’azione, chi la subisce.
5 . Il ritmo narrativo.
     Descrizione o movimento? 

Il tema di ogni serata sarà illustrato dal punto di vista teorico ed esaminato con esempi pratici, tratti dalla letteratura contemporanea e classica. 

Nella settimana precedente ogni incontro, inviterò i singoli partecipanti a scrivere un elaborato a tema fisso, ad inviarmelo via mail o a consegnarlo a me di persona . Vi farò conoscere il primo titolo del testo tramite una mail o per telefono dopo la conferma dell’iscrizione.

Non c’è obbligo di consegna, naturalmente, ma i vostri racconti, che potranno restare segreti, o anonimi, possono fornire lo spunto per ulteriori approfondimenti nell’incontro successivo.
Ogni sera vi consegnerò delle dispense, che contengono i punti principali degli argomenti trattati. I racconti che esamineremo verranno indicati nel corso della lezione (provvederò io stessa a farveli avere su fotocopie contenenti brani degli stessi, conf. Legge n 248 del 18 agosto 2000). 

Per qualunque informazione scrivetemi a:

marymilla66@yahoo.it

Oppure chiamatemi al 338 3938543

Vi aspetto,
Maria Teresa Carpegna         
                                                                                                                                                                                                                                                                                    


Scrivere significa capire le passioni degli altri.
Silvia Ballestra

lunedì 26 agosto 2013

26, un natale minuscolo


Alcuni giorni sono speciali, numeri che si imprimono nell’inconscio fino a perdere sostanza, fino a divenire immagini, emozioni. Nella mia mente un ricordo, mille ricordi vengono evocati da un semplice numero; nel mio cuore le sensazioni si avvinghiano e si confondono solo a sentirne il nome: ventisei.
26: due cifre, ma un unico simbolo. Un colore, forse il verde, un profumo di rosa vellutata, un suono melodioso, sicuramente tasti di pianoforte.
Chiudo gli occhi e lo immagino, con quei due numeri che sembrano darsi la schiena, e mi sembrano bambini che giocano al duello. Lo pronuncio in un bisbiglio, parola piana che svanisce in un sospiro.
Se lo incontro per caso in un romanzo, gioisco. Se lo leggo su un manifesto, un giornale, persino su uno scontrino, sorrido. Ma la vera magia avviene con il Grande Incontro: quello tra “26”  e “agosto”. Allora il sorriso si fa più aperto e inevitabilmente l’aria diviene più densa, colma di attesa. Fino al suo arrivo, come un piccolo Natale, un natale minuscolo.

La mattina mi sveglio presto, più del solito, senza una sveglia, senza un rumore fastidioso. E’ così, non posso farci niente.
Mi alzo, guardo il cielo grigio, o sfavillante di azzurro, e sorrido. Preparo il caffè, aspetto che la casa si svegli, faccio colazione e poi…
E poi chiamo mio padre. Se è in casa semplicemente scendo le scale. Se è via, come spesso capita in fine estate, prendo il telefono.
- Auguri! – gli dico ormai da tanti, tantissimi anni; probabilmente da quando ho imparato a parlare, più o meno quarantasei anni fa, credo.
- Auguri a te! – mi risponde, e di nuovo, in modo prevedibile eppure coinvolgente mi emoziono. Mi viene da ridere e mi sento felice. Conto gli anni che ci separano; trentacinque, sempre gli stessi: un intervallo che rimpicciolisce col tempo.
 - Sai che anche Madre Teresa è nata il 26? – gli ho detto una volta. O forse me lo ha detto lui, non ricordo.
- Anche Albus Silente – questa sono io, di sicuro. - E Macaulay Culkin. -
-“Mamma ho perso l’aereo”? Ma va? – ride. Chissà quante volte abbiamo visto quel film.
- Ti ricordi nel ’78? Hanno eletto papa Giovanni Paolo I; siamo andati a Roma e lo abbiamo visto in piazza San Pietro -  guarda lontano. Poi si gira verso di me: - Allora, quand’è che facciamo una bella cena di compleanno? –

Quando vuoi, papà. E tanti auguri a noi.

 

 

 

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