Milena ha solo
sette anni quando incontra per la prima volta i Testimoni di Geova; due donne
gentili, sorridenti e molto disponibili erano entrate in casa loro, invitate
dalla madre di Milena.
«Non vi
piacerebbe vivere in una terra paradisiaca, in pace con tutti?» avevano detto a
lei e alla madre. Da quel giorno molte altre visite si erano susseguite, e dopo
sei mesi fu il loro turno di andare a visitare la Sala del regno. Milena fu
affascinata da quella gente così buona con lei, così pronta ad accoglierla; si
sentì ben voluta come mai le era accaduto e, dopo qualche tempo, chiese di far
parte di quella comunità.
Capiva che
c’era qualche regola non facile da seguire, che la rendeva diversa dai suoi
coetanei, ma l’amore che le regalavano i Testimoni di Geova era più importante.
Finalmente giunse
il momento di diventare predicatrice e poi di essere battezzata; Milena entrò
nella vasca con entusiasmo e sicurezza. Ma da quel giorno tutto cambiò. Il
campanello di casa si zittì e le amiche, che tanto le erano state vicine prima del
battesimo, erano scomparse: nessuno stava più con lei, perché il compito del
Testimone è fare nuovi proseliti, e non tenere compagnia a quelli già
convertiti.
Fu la prima di
una lunga serie di delusioni e sofferenze per Milena, la cui vita, da quel
momento, subì tante sconfitte e ripensamenti.
«Conobbi la
vicenda della mia amica qualche tempo dopo aver cominciato a lavorare con lei»
spiega Patrizia Boscaro, autrice di Un
tatuaggio è per sempre. «Era un’ottima impiegata, ma introversa e chiusa.
Un giorno arrivò in ufficio sconvolta: suo marito l’aveva inseguita con il
furgone, mentre viaggiava sullo scooter. Era una Testimone di Geova e dovette
passare ancora moltissimo tempo prima di potersi finalmente sentire di nuovo
libera. Decisi di scrivere la sua storia perché altri potessero conoscerla.»
Purtroppo la
sua è una vicenda più comune di quanto non si pensi: le persone attirate da
questi gruppi, che sentono il fascino di una comunità apparentemente amorevole,
sono moltissime.
«In questo
mondo di conoscenze virtuali, è facile essere attratti da chi ci fa sentire
amati. I movimenti religiosi non tradizionali, anche in questi giorni di
scetticismo religioso, si prodigano per aiutare un’anima in difficoltà e questo
funziona da calamita.»
Leggendo il
tuo libro ho provato una grande simpatia per Milena, che è naturalmente un nome
di fantasia, e un forte desiderio di poterla aiutare. Com’è possibile farlo?
«Purtroppo è
quasi impossibile, finché una persona fa parte dei Testimoni di Geova, provare
ad aiutarla, provare a farla uscire. All’interno della comunità, sebbene quasi
segregati, sono il ritratto della serenità.»
Fortunatamente
la storia di Milena si è conclusa bene: dopo una serie di grandi delusioni, è
riuscita a rifarsi una vita fuori dal gruppo. E anche a concedersi cose prima
proibite, come appunto un tatuaggio.
«L’incontro
con il tatuatore è accaduto realmente e, nella prima versione del libro,
tagliata in parte dall’editore, c’erano molti dialoghi tra i due personaggi. Era
lui che mostrava i sentimenti di rabbia e incredulità che ho provato io, al
racconto di Milena.»
Una rabbia che
forse la sua famiglia non aveva provato?
«Certo, una
famiglia unita e presente avrebbe potuto impedire il destino della mia collega,
ma non solo. Un carattere docile e remissivo e una buona dose di ingenuità
hanno fatto il resto. Strano come una qualità importante come la generosità sia
stata, in questo caso, un ostacolo alla serenità di Milena; si tratta però di
una generosità sprovveduta, frutto della giovane età e dell’inesperienza.»
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