venerdì 12 dicembre 2014

Bruno Gambarotta, Ombra di giraffa, Garzanti

Dopo il funerale del loro vecchio collega Felice Chiapasso, i suoi cinque amici si trovano al bar Elena di Piazza Vittorio per qualche rievocazione e un po’ di sospiri. Tra un battibecco e un amarcord, si insinua l’amarezza: nessuno dei capi RAI è intervenuto alla funzione.
Non si può lasciar passare questo gesto, bisogna far qualcosa perché non ci si dimentichi di Ombra di giraffa e della sua bravura come tecnico.
Guarda caso proprio l’indomani ci sarà un convegno sulle nuove frontiere della fiction, con tutti i capi schierati: un’ottima occasione per ricordare a tutti i presenti che ogni impiegato ha fatto grande la RAI, anche i tecnici. Niente di scandaloso o di illegale, basteranno dei telegrammi commemorativi. Basteranno se inviati da qualcuno di importante e non certo da semplici impiegati, anche se “seniores”, magari firmati da registi RAI. Già, e se poi i registi si lamentano? Se scattasse qualche denuncia? Nessuna denuncia, se i registi sono già belli defunti.
Il trucco funziona: durante il convegno i telegrammi vengono letti a voce alta da una impiegata tanto solerte quanto ignorante da non accorgersi che i registi non lavorano più (e non respirano più) da tempo. Ombra di giraffa ha il tributo che si meritava.
Meno facile è ingannare la giornalista Alessandra Comazzi, che invece ha immediatamente scoperto il trucco e si chiede, sulle pagine della Stampa, se non si tratti di uno stratagemma per pubblicizzare l’uscita di una fiction sul mondo della RAI. Il dottor Dell’Angelo, neodirettore di RAI fiction, decide di cavalcare l’onda e di annunciare l’uscita di Ombra di giraffa, serie mai girata e che mai lo sarà; per cui organizza immediatamente una teleconferenza e si precipita, dal suo albergo, agli studi RAI di via Verdi., a bordo di un auto che è venuta inaspettatamente a prenderlo. Ma l’autista non lo accompagnerà alla sede della RAI Torino, bensì al museo di arte orientale.
Da qui la trama si snoda lungo una traccia ricca di divagazioni, in uno sviluppo che ho osato definire “a matriosca”, con racconti nel racconto, con sottotrame ed episodi collaterali che arricchiscono e divertono.
Gambarotta gioca con se stesso e con i suoi ricordi, intrufolandosi tra le pagine del romanzo, per fare l’occhiolino al lettore.

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