lunedì 26 agosto 2013

26, un natale minuscolo


Alcuni giorni sono speciali, numeri che si imprimono nell’inconscio fino a perdere sostanza, fino a divenire immagini, emozioni. Nella mia mente un ricordo, mille ricordi vengono evocati da un semplice numero; nel mio cuore le sensazioni si avvinghiano e si confondono solo a sentirne il nome: ventisei.
26: due cifre, ma un unico simbolo. Un colore, forse il verde, un profumo di rosa vellutata, un suono melodioso, sicuramente tasti di pianoforte.
Chiudo gli occhi e lo immagino, con quei due numeri che sembrano darsi la schiena, e mi sembrano bambini che giocano al duello. Lo pronuncio in un bisbiglio, parola piana che svanisce in un sospiro.
Se lo incontro per caso in un romanzo, gioisco. Se lo leggo su un manifesto, un giornale, persino su uno scontrino, sorrido. Ma la vera magia avviene con il Grande Incontro: quello tra “26”  e “agosto”. Allora il sorriso si fa più aperto e inevitabilmente l’aria diviene più densa, colma di attesa. Fino al suo arrivo, come un piccolo Natale, un natale minuscolo.

La mattina mi sveglio presto, più del solito, senza una sveglia, senza un rumore fastidioso. E’ così, non posso farci niente.
Mi alzo, guardo il cielo grigio, o sfavillante di azzurro, e sorrido. Preparo il caffè, aspetto che la casa si svegli, faccio colazione e poi…
E poi chiamo mio padre. Se è in casa semplicemente scendo le scale. Se è via, come spesso capita in fine estate, prendo il telefono.
- Auguri! – gli dico ormai da tanti, tantissimi anni; probabilmente da quando ho imparato a parlare, più o meno quarantasei anni fa, credo.
- Auguri a te! – mi risponde, e di nuovo, in modo prevedibile eppure coinvolgente mi emoziono. Mi viene da ridere e mi sento felice. Conto gli anni che ci separano; trentacinque, sempre gli stessi: un intervallo che rimpicciolisce col tempo.
 - Sai che anche Madre Teresa è nata il 26? – gli ho detto una volta. O forse me lo ha detto lui, non ricordo.
- Anche Albus Silente – questa sono io, di sicuro. - E Macaulay Culkin. -
-“Mamma ho perso l’aereo”? Ma va? – ride. Chissà quante volte abbiamo visto quel film.
- Ti ricordi nel ’78? Hanno eletto papa Giovanni Paolo I; siamo andati a Roma e lo abbiamo visto in piazza San Pietro -  guarda lontano. Poi si gira verso di me: - Allora, quand’è che facciamo una bella cena di compleanno? –

Quando vuoi, papà. E tanti auguri a noi.

 

 

 

lunedì 19 agosto 2013

Diana Athill, Come pagine di un libro, Rizzoli

Cosa c’è dietro un grande autore? Talento, studio, conoscenza dei classici e dei migliori scrittori contemporanei; c’è lavoro, dedizione, capacità comunicativa e grande voglia di trasmettere emozioni.
E poi? Forza di volontà, esercizio continuo e duraturo. Non basta ancora?
Sì, per avere un grande scrittore è sufficiente, ma per avere un grande romanzo no: ci vuole ancora un ottimo editor. E’ lui che accompagna lo scrittore restando nell’ombra, suggerendo e mai imponendo, consigliando in base alla sua esperienza, tagliando con crudeltà e incentivando con tenerezza.

Tutto ciò è stata Diana Athill, la cui esperienza, appunto, di fervida lettrice e attentissima editor  è stata messa a disposizione di scrittori illustri come Simone De Beauvoir, Norman Mailer, Philip Roth, Margaret Atwood, Mordecai Richler, V.S. Naipaul.
Nel 1993, a settantacinque anni, finalmente poté andare in pensione e dedicarsi alla scrittura, sempre accantonata per lavoro. Così si accorse che la sua vita era già un romanzo e si dedicò al memoir, ma con una scrittura narrativa e autoironica che, nella raccolta di lettere Come pagine di un libro, trova la sua perfetta collocazione.
Nelle pagine che dal 1981 ha inviato, con scarsa regolarità,  al suo amico poeta Edward Field, troviamo il ritratto inconsapevole di una donna decisa, che sa affrontare le magagne della vecchiaia, mantenendo la sincerità che il suo carattere le aveva donato.
Così la Athill ci fa partecipi della sua rabbia verso l’editore André Deutsch, che l’ha lasciata con una misera pensione, stemperata, man mano che gli anni passano, dalla pietà di vederlo decadere con la vecchiaia. Ci porta in viaggio con lei, alle cene e tra le mura di casa sua, sempre circondata da amici, conoscenti e dal ricordo dei suoi amanti.
Una vita dedicata alla scrittura e agli amici, come ben ci fa capire in una lettera del 2002:
“Edward carissimo, per un terribile momento ho pensato che non ci fossero più penne in  casa! […] Niente penne in borsa, né sulla scrivania, niente in cucina e neanche in camera […] sono quasi caduta in preda al panico all’idea di non avere niente con cui scrivere. Vivo proprio di parole!”
Una vita che avrebbe potuto scorrere sotto i riflettori del mondo letterario, ma che invece la Athilla ha vissuto gustandola pienamente, nella consapevolezza che la vecchiaia arriva, e che bisogna saperci ridere su: “Adesso me ne vado in giro con due denti soltanto, il che è molto più raccapricciante che averne uno solo. Quando è accaduto lo stesso a Barbara un mese fa, si è rintanata in campagna e isolata dal mondo, ma lei d’altronde è sempre stata bella, quindi immagino avverta più profondamente l’umiliazione.”
Leggere Come pagine di un libro è sedersi sul treno di fronte ad una anziana signora dallo sguardo vispo, ascoltare le sue parole dapprima con educata gentilezza,  poi, man mano che se ne comprende il fascino, restarne avvinti fino a rendersi conto che siamo arrivati alla nostra stazione e abbiamo la bocca spalancata nello stesso sorriso stupefatto da almeno un’ora.  

 

 

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