lunedì 29 giugno 2015

Dove abiti?

Ai tempi dell’università, quando Palazzo Nuovo non era stato ancora bonificato e l’amianto si disgregava serafico senza che nessuno se ne preoccupasse, mi capitava che qualche compagno di studi mi chiedesse dove abitavo. Non sovente, comunque; non era facile approfondire l’amicizia alle lezioni dell’aula magna di Lettere, dove, se ti andava bene, ricapitavi a fianco dello stesso studente dopo due o tre mesi di lezione. Eppure qualche coraggioso ci provava. Io, ad esempio, che riconosco i lineamenti anche dopo anni, salutavo da amicona sconosciuti e sconosciute sperando in una frequentazione.
Così, dopo qualche frase di circostanza, poteva arrivare la fatidica domanda:
«E tu dove abiti?».
Adesso, che la polvere di molti anni si è depositata sulle mie spalle, so che nella risposta doveva comparire una via o un corso di Torino. Ma allora, nella giuliva innocenza dei miei vent’anni, pronunciavo serafica il nome del mio paese.
Ricordo ancora con tenerezza l’espressione attonita del malcapitato compagno di studi:
«Ma allora vivi in montagna!»
«Be’, montagna-montagna no, almeno non esattamente» spiegavo, tentando si salvare l’ancora non nata amicizia.
«Cacchio» esclamava, incerto se ridere o compatirmi. «Ma quanto ci metti a venire giù?» immaginandomi probabilmente sull’uscio di una baita in pietra, intenta a salutare con la mano un vecchio dalla barba bianca circondato di caprette.
«Oh, non molto» mentivo e cambiavo argomento, facendo capire che, anche in mezzo alle nevi e stelle alpine, si poteva leggere La bustina di minerva di Umberto Eco ogni settimana ed avere un’opinione politica quasi all’avanguardia.
Quello che evitavo rigorosamente era di dire che a me piaceva abitare in montagna, e molto, e che le due ore nette di trasporti pubblici e camminata che mi occorrevano ogni giorno per andare, pardon, venire a Torino non erano niente in paragone ai dieci minuti che mi separavano dalle passeggiate nei boschi.
Mi rendevo conto, però, e lo faccio tuttora, che il mondo della città e il mondo della montagna restano spesso separati da un muro invalicabile: mille opportunità per uscire alla sera, mille incontri culturali in cambio di strade in salita e funghi da raccogliere? Chi potrebbe preferirlo?
Molti, se si pone la domanda nei termini corretti. Chiedereste a Briatore di scegliere tra una cena con Fabiola Gianotti e una con Belen Rodriguez? Eppure molti baldi giovani di mia conoscenza potrebbero stupirvi con la loro risposta.
Amare la città è facile: i portici monumentali, le vetrine opulente, le chiese barocche eppure suggestive, il finto Borgo medievale, il Museo egizio, il Circolo dei lettori, e poi le bancarelle, i mille concerti per tutti i gusti e tutti i portafogli, i pub, i locali etnici, gli aperitivi e le cene in trattoria, gli chef rinomati. Ma… sì, lo sapevate fin dall’inizio di questo elenco che ci sarebbe stato un “ma”, ed anche uno importante. Perché vivere in montagna è favoloso e richiede anche un po’ di pazzia, tanto che io, mio marito e i miei figli, dopo averlo sognato per tanti anni, siamo riusciti a realizzare questa fantasia e due settimane fa ci siamo trasferiti in una casa a 901 metri sul livello del mare.
Spero, con questa mia nuova e un po’ folle rubrica, di riuscire a contagiarvi e di trasmettervi parte del grande fascino che sento.
Possibilmente facendovi ridere un po’.



Cerca nel blog