mercoledì 13 novembre 2013

Il micromuseo

Il bello di avere una casa molto frequentata è che si possono trovare, sparsi in giro e negli orari più disparati, oggetti curiosi e stravaganti, dimenticati dagli ospiti di passaggio. Se poi la casa è anche piuttosto piccola, gli oggetti saranno concentrati su un paio di tavoli, ripiani, scaffali e, nei casi più difficili da gestire, anche su sedie e parquet. In questo modo l’abitazione, già di per sé curiosa, data la notevole quantità di spigoli che percorrono ovunque il soffitto e gli spazi che sfidano geometricamente Euclide, diventerà una via di mezzo tra un museo antropologico e un magazzino ferroviario.
A parte i banalissimi libri, volantini e manoscritti, in casa nostra si possono trovare qua e là, in una elencazione che va dal consueto al bizzarro: chiavi, occhiali, ombrelli, golfini, foulard, dolciumi che farebbero invidia a Willy Wonka, teglie, contenitori di plastica di e non di marca, imparaticci ai ferri, candele, auricolari, strani oggetti dai nomi triplamente composti come affila-motoseghe, filtra-tè-a-molla o fojot-per-bagna-cauda, più una inconcepibile quantità di cappelli e coltelli a serramanico.
Va detto che, in questo nostro rigattieresco accumulo, raramente ci troviamo di fronte a creature viventi, fatta eccezione per un riccetto che mia figlia aveva accudito per tre giorni (non chiedetemi la conclusione di questa tragica storia) e di una famiglia di girini rivelatisi cannibali.
Così, quando nei giorni scorsi ho trovato una vaschetta di terra, accanto alla caffettiera e alla scodella in cui fermenta lo yogurt (forse anche questa prolifica colonia di batteri andrebbe inserita nelle creature viventi), ho temuto si trattasse di: a) un allevamento di lombrichi di mio figlio; b) un esperimento di mia figlia sulla putrefazione.
E’ stato quindi con un certo sollievo che ho accolto questa piccola serra, in cui mio marito studia un nuovo tipo di coltivazione erbacea in cattività. Non sapevo, ahimè, che avrei dovuto assistere giorno dopo giorno all’irrigazione del microcampo con spruzzino, all’arieggiatura del microprato e alla falciatura (con forbici per capelli) della microerba.
Così, quando questa mattina ho visto mio marito brandire la mia spazzola per capelli, ho subito intuito che non fosse per la sua chioma ormai rarefatta e lunga quanto una foglia di rosmarino: stava andando a rastrellare il prato.



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