Il bello di
avere una casa molto frequentata è che si possono trovare, sparsi in giro e
negli orari più disparati, oggetti curiosi e stravaganti, dimenticati dagli ospiti di passaggio. Se poi la casa è
anche piuttosto piccola, gli oggetti saranno concentrati su un paio di tavoli,
ripiani, scaffali e, nei casi più difficili da gestire, anche su sedie e
parquet. In questo modo l’abitazione, già di per sé curiosa, data la notevole
quantità di spigoli che percorrono ovunque il soffitto e gli spazi che sfidano
geometricamente Euclide, diventerà una via di mezzo tra un museo antropologico
e un magazzino ferroviario.
A parte i
banalissimi libri, volantini e manoscritti, in casa nostra si possono trovare
qua e là, in una elencazione che va dal consueto al bizzarro: chiavi, occhiali,
ombrelli, golfini, foulard, dolciumi che farebbero invidia a Willy Wonka,
teglie, contenitori di plastica di e non di marca, imparaticci ai ferri,
candele, auricolari, strani oggetti dai nomi triplamente composti come
affila-motoseghe, filtra-tè-a-molla o fojot-per-bagna-cauda, più una
inconcepibile quantità di cappelli e coltelli a serramanico.
Va detto che,
in questo nostro rigattieresco accumulo, raramente ci troviamo di fronte a
creature viventi, fatta eccezione per un riccetto che mia figlia aveva accudito
per tre giorni (non chiedetemi la conclusione di questa tragica storia) e di
una famiglia di girini rivelatisi cannibali.
Così, quando
nei giorni scorsi ho trovato una vaschetta di terra, accanto alla caffettiera e alla scodella in cui fermenta lo
yogurt (forse anche questa prolifica colonia di batteri andrebbe inserita nelle
creature viventi), ho temuto si trattasse di:
a) un allevamento di lombrichi di mio figlio; b) un esperimento di mia figlia sulla
putrefazione.
E’ stato
quindi con un certo sollievo che ho accolto questa piccola serra, in cui mio
marito studia un nuovo tipo di coltivazione erbacea in cattività. Non sapevo,
ahimè, che avrei dovuto assistere giorno dopo giorno all’irrigazione del
microcampo con spruzzino, all’arieggiatura del microprato e alla falciatura
(con forbici per capelli) della microerba.
Così, quando
questa mattina ho visto mio marito brandire la mia spazzola per capelli, ho
subito intuito che non fosse per la sua chioma ormai rarefatta e lunga quanto
una foglia di rosmarino: stava andando a rastrellare il prato.
Nessun commento:
Posta un commento