giovedì 28 giugno 2012

Eowyn Ivey, La bambina di neve, Einaudi

Pubblicato su Corriere della sera, La Lettura, 12 febbraio 2012

Quanto può influire il desiderio di maternità sulla vita di una donna? Come può essere stravolto il destino di una coppia felice dalla mancanza di un figlio? Molto, indubbiamente, ma forse ancor di più se la coppia in questione non è più giovane e vive all'inizio del secolo scorso. Mabel è una donna benestante, con una solida cultura; Jack proviene da una famiglia di contadini, ma la loro è un'unione ben riuscita, al di là della previsioni familiari. Eppure l'assenza di figli li espone al mondo come marchiati dalla vergogna, rendendo insopportabili le riunioni di famiglia e gli incontri con le coppie appagate degli amici. Finalmente Mabel porta avanti una gravidanza, tra i timori e le aspettative, ma il figlio nasce morto. La spaccatura è incolmabile nel suo cuore e i due decidono di lasciare il mondo civile, per nascondersi nelle fredde e inospitali terra d'Alaska. Mabel, dapprima distrutta, pian piano si risolleva e una sera d'autunno, con la prima neve, ritrova la complicità con il marito e costruisce con lui un pupazzo. E' solo l'inizio di un romanzo coinvolgente e impeccabile, che sposta il baricentro del lettore mostrandogli i lati spesso oscuri della psiche umana, e riducendo all'osso, grazie all'atmosfera scabra e genuina delle foreste dell'Alaska, i sentimenti. L'amore e l'amicizia diventano i veri protagonisti di questo libro, nonché gli unici motori dell'esistenza.

martedì 26 giugno 2012

Enrico Camanni, Il ragazzo che era in lui, Vivalda


Per la terza volta Enrico Camanni ci fa condurre sulle montagne da Nanni Settembrini, torinese trapiantato come guida a Courmayeur, capo della stazione di Soccorso Alpino della stessa città, conoscitore delle cime e delle loro storie.
In un luglio tiepido, in cui l’estate sembra indecisa se arrivare o meno, Nanni parte per le Dolomiti; la scusa accompagnare tre fedelissimi clienti di Ivrea, il motivo reale una delle sue tante fughe, quelle che la ex-moglie Clara non tollerava, quelle che Camilla ha imparato a rispettare.
La montagna è affascinante, il rifugio accoglie e incoraggia: con i quattro della comitiva, cenano due ragazzi, Luca e Marco, due giovani che abbiamo incontrato all’inizio del romanzo, in un parallelo tra il giovane Nanni, contestatore sessantottino, e gli universitari in rivolta per i tagli della riforma scolastica.
Nanni vede nei due ragazzi la sua stessa determinazione degli anni giovanili: una caparbietà mista all’energia sfrenata; li sente vicini, li ammira. Per questo, quando il giorno dopo la sua comitiva viene sorpresa da un violento temporale estivo sulla via ferrata degli Alleghesi, sul crostone della Civetta, non può non preoccuparsi per i due arrampicatori, in pericolo sul diedro Phillip: quaranta tiri di corda per arrampicatori esperti e “cattivi”.
Ma la salita non è solo avventura, esercizio fisico e tecnica, è anche un modo di affrontare la vita; Settembrini, pensando ai due ragazzi, pensando a sé stesso ragazzo,  capisce senza rimpianti che non c’è niente che possa riportare un adulto alla “verginità dell’esperienza”, al ragazzo che era in lui.

lunedì 25 giugno 2012

Kate Morton, Una lontana follia, Sperling


Ci sono avvenimenti storici che restano nell’immaginario collettivo per decenni, per secoli, che vengono tramandati dalle generazioni e, creando miti moderni, intrecciano le storie famigliari alla storia mondiale. Uno di essi è la Battaglia d’Inghilterra, il gesto abominevole dell’esercito nazista che, dopo mille anni da quella battaglia di Hastings, combattuta sul suolo britannico da Guglielmo il Conquistatore, riportò per la prima volta una guerra direttamente nelle case degli inglesi.
Molti romanzi hanno come punto di  partenza la fuga dei bambini da Londra, e la loro accoglienza da parte degli abitanti dei paesini di campagna. Da “Pomi d’ottone e manici di scopa” a “Le cronache di Narnia”, quel lungo periodo fiabesco ha creato una sorta di mondo magico, di quinta dimensione in cui tutto è possibile.
La lunga narrazione di “Una lontana follia” è articolata su diversi livelli temporali, intrecciati e collegati l’uno all’altro, ma il fulcro della vicenda è situato in quei giorni terribili, in cui Londra fu bombardata dai tedeschi, e i genitori londinesi preferirono separarsi dai loro figli, per vederli al sicuro nella campagna, lontano dalle bombe.
Meredith, la madre della protagonista e narratrice, è uno di quei bambini. Nel 1939 sale sul treno che la porterà a Middlehurst, ospite in un castello magnifico. In quel maniero vivono tre sorelle, a cui Meredith si affezionerà al punto di non voler più tornare a Londra.
Ma i genitori non vogliono sentir ragioni e la riporteranno a casa, senza capire che Meredith non è più la ragazzina che ha lasciato Londra e che le tre sorelle hanno instillato l’amore della parola, della letteratura nella sua mente.
Di tutto questo la figlia Edith non sa nulla, quando, una banalissima domenica, si trova a casa dei genitori, proprio nel momento in cui viene recapitata alla madre una lettera scritta cinquant’anni prima e mai consegnata, che avrebbe sicuramente cambiato il suo futuro.
Come in una caccia a tesoro, Edith parte da quella lettera misteriosa per cercare di riallacciare un rapporto profondo con la madre, sempre più lontana ed assente. Vedrà il meraviglioso maniero, conoscerà le tre sorelle ormai molto anziane, scoprirà via via tracce della loro e della sua vita seguendo il percorso di un libro che, fin dalla sua infanzia, ha fatto da leit motiv delle sue fantasie letterarie: “L’Uomo del fango”.
Con una scrittura ricca, curata, mai monotona, Kate Morton disegna situazioni e paesaggi gotici, che richiamano la sua formazione di studiosa dell’epoca vittoriana. I suoi personaggi vengono tratteggiati nel corso dei capitoli, con un alternarsi temporale della narrazione, che porta il lettore dal mondo cupo e tragico, seppur affascinante, della seconda guerra mondiale, al presente dell’Inghilterra del 1992, creando e svelando misteri.

Un romanzo semplice e scorrevole, una lettura leggera ma che lascia il segno.
Un’unica curiosità resta inappagata: riusciremo mai a leggere “L’Uomo del fango”?

Pausa caffè


Sono seduta su una scomoda panchina di un vago materiale, intermedio tra la plastica e un qualche metallo; l’orologio digitale a grandi caratteri segna le dieci e cinque, ma a me sembra di essere qui da ieri sera. La cassiera di fronte a me ha alle spalle un contatore, digitale anch’esso, che con linee quadre simboleggia il numero diciotto. Nella mia mano si scalda fiero un foglietto a freccia con su stampato il diciannove; saltella come un calciatore che sta per entrare in campo, come le mie gambe intorpidite.
D’un tratto la donna, la cui schiena resterà per sempre nella mia memoria, saluta, afferra la borsetta sul banco e si allontana.
Io scatto in piedi, già col sorriso d’ordinanza, ma la cassiera platino dietro il vetro antiproiettile è già in piedi e le sue labbra pronunciano un flebile: - Pausa caffè? - che mi getta nello sconforto.
- Oggi è giovedì - ribatte la tesoriera al suo fianco trasportandomi d’improvviso su poltroncine di velluto, ad assistere ad una rappresentazione di Ionesco. Mi aspetto che il diafano cassiere al suo fianco, fissando un punto in alto, lontano da ogni cosa, risponda:
- Non è di qua, ma è di là. -
Invece lui si volta verso le doppie porte scorrevoli e sorride: – Eccolo – dice.
Un coro di festanti saluti accoglie l’ingresso di un signore mingherlino, dai capelli color paglia, mentre un incomprensibile buonumore serpeggia tra la gente immusonita in coda. Come posseduti da uno spirito buono, le persone si sorridono, si riconoscono, scambiano sguardi fino a prima fissi sui vetri antiproiettile degli sportelli. E la parola “caffè” compare in minime conversazioni improvvisate.
E’ un rito da cui, con una punta di amarezza, sto per sentirmi esclusa, ma non c’è tempo: l’uomo si avvicina anche a me:
- Caffè normale? Macchiato, lungo? - 
Rispondo incerta e lo vedo sparire. Era uno scherzo? Un sogno causato dalla noia?
Mi avvicino allo sportello; la cassiera, sconosciuta, mi sorride allegra. Ritiro le mie carte e mi volto salutando, ed eccolo: tra le due strette ante scorrevoli, appare un vassoio con sei tazze e la banca, dalle orribile piante di plastica, dagli odori sintetici,  viene inondata di aroma tostato.
Credo proprio che il prossimo versamento lo eseguirò di giovedì.

Cerca nel blog