sabato 29 novembre 2014

Alessandro Perissinotto, Coordinate d'oriente, PIEMME

 “Al giorno d’oggi, anche chi si iscrive alle facoltà umanistiche ha progetti da ingegnere”.
A pensarla così è il narratore di Coordinate d’oriente, docente universitario disincantato che conosce le aspirazioni economiche e per niente artistiche dei suoi studenti; per questo tenta di avvicinarli alla letteratura conciliando racconto e marketing, biografia e imprenditorialità.
Così, quando dice ai suoi studenti: «Armatevi di registratore e andate ad intervistare qualcuno che abbia un’esperienza lavorativa interessante», sa che non deve aspettarsi nulla di straordinario: una ricerca sociale, niente più. Eppure nel profondo spera che essi diventino “portatori di storie”.
Alla fine del corso i ragazzi sfilano a depositare le loro interviste sotto i suoi occhi distratti, in quella che gli appare come un’unica massa omogenea. Invece, quando l’aula si è ormai svuotata, sulla cattedra, tra i magri elaborati, è apparso uno spesso plico di fogli, in cui si racconta la strana e coinvolgente esperienza di Pietro Fogliatti, imprenditore illuminato.
Qui comincia la caccia al tesoro che il narratore, alter ego di Perissinotto stesso, fa compiere al lettore. Tra salti temporali rapidi, flashback e spostamenti di scena, entriamo nella vita del protagonista, un uomo generoso, forse un sognatore, che con i suoi sogni avrebbe potuto essere felice.
Ma forse la GS non è solo un sogno, è un progetto: un auto elettrica, che raggiunge i 120 chilometri orari e che possiede un’autonomia mai sperimentata in precedenza. Dopo un tentativo fallito di proporla ad un’industria torinese, il progetto piace a due giovani rampanti californiani e viene creata la Nazca China.
Pietro va a Shangai, senza rimpianti per quel che lascia, forse senza nemmeno troppe aspettative, non fosse per la GS. La metropoli delle contraddizioni, con le sue tradizioni radicate e le futuristiche innovazioni tecnologiche, lo accoglie nel suo abbraccio di smog e indifferenza, riservandosi però di sorprenderlo.

Perissinotto si incarica di raccontarci la storia di Pietro Fogliatti assumendo il ruolo di narratore in prima persona, ma coinvolgendoci nell’alternanza dei punti di vista. La singolare vicenda del protagonista, raccolta come testimonianza dalla studentessa misteriosa, ci è esposta dall’autore stesso, ma le tre voci si fondono in un amalgama avvolgente e ricco.
Il nostro compito di lettore è raccogliere gli indizi sparsi sul protagonista e sui tanti personaggi che lo affiancano, ricostruendo una trama complessa, sbriciolata in episodi talvolta brevissimi, che pian piano ci accompagnano nel fulcro della narrazione: i sottili e qualche volta invisibili fenomeni sociali che lentamente ma con tenacia rischiano di cambiare il mondo.

mercoledì 19 novembre 2014

Enrico Camanni, Il fuoco e il gelo, Laterza

Il tema della montagna resta per Enrico Camanni il fulcro di tutta la sua produzione letteraria e giornalistica, se non addirittura della sua vita. Questo rende esclusiva e necessaria la sua testimonianza nell’anno in cui ricorre il nefando centenario della nostra entrata nella Guerra Mondiale, l’unica, quando ancora non era necessario numerarle.
Nel panorama letterario attuale (e mi riferisco a tutta la produzione saggistica, storica e narrativa italiana), i titoli che fanno della Grande Guerra il tema centrale sono numerosi e sono certa che siano destinati a salire nei prossimi mesi. L’attenzione di giornalisti, professori e scrittori è puntata verso il 24 maggio e quella traversata del Piave allora tanto celebrata come gloriosa quanto invece portatrice di morte e devastazione.
“Una mattanza imprevista, evitabile e ingigantita dalle condizioni ambientali, cioè dalla montagna stessa” scrive Enrico nella prefazione al volume, trasformando così le cime e i ghiacciai da semplice sfondo a fattore determinante ed elemento attivo nel conflitto.
Quello che Il fuoco e il gelo rappresenta in questo sfaccettato panorama editoriale è una voce diversa, che analizza i terribili anni ’15 – ’18 osservandoli dalle vette aguzze, dalle cenge esposte, dalle nevi che non si fondono mai, neppure nelle brevissime estati che i soldati attendevano a più di tremila metri di altitudine.
Il soldato non è più un semplice combattente, deve essere ancor prima un alpinista, che scala in condizioni estreme e mostra la sua abilità al nemico.
“Quando il rocciatore nemico saliva con corde e chiodi una difficile parete di calcare, per prima cosa lo guardavano arrampicare, poi lo ammiravano, infine gli sparavano addosso”.
I soldati che giungono da tutta Italia fino al fronte sulla cresta delle dolomiti non sono solamente Alpini, ma devono diventarlo. I militari imparano a scalare, vengono mandati a seguire corsi di sci in Piemonte; gli Ufficiali di ogni arma devono incoraggiare i loro sottoposti a compiere fatiche estreme e a resistere per mesi in capanne di legno, in trincee nel ghiaccio a venti gradi sottozero. I pericoli sono i mortai nemici, le pallottole delle mitragliatrici, che si accompagnano alle valanghe e ai fulmini, alle frane di roccia e ai congelamenti. Per cosa? Per “conquistare” una vetta che fino a pochi mesi prima si poteva “conquistare” salendoci in cordata, magari con un compagno austriaco a far sicura.
Enrico ha cercato nei diari e nelle lettere dal fronte le tracce lasciate dai soldati; non le loro imprese belliche, ma la loro quotidianità assurda e incredibile, per poter ricostruire la loro storia, che è anche la nostra Storia. Leggendo le loro parole deve aver provato le stesse emozioni e paure: la meraviglia dello spettacolo della montagna e l’angoscia di doverci restare per combattere, per difendere una cima che sarà un puntino sulla linea del nuovo confine.
Camanni ha trasformato, grazie alla sua prosa scattante e curata nei particolari, ogni testimone in personaggio, così da farci leggere la Guerra come una narrazione, formata da un susseguirsi di scene chiave. La sua voce si intreccia e si amalgama a quella dei combattenti, lasciando talvolta il passo alla retorica, il solo sostegno che le truppe ricevevano dai loro generali. Sono pronti a sacrificarsi per la Patria, per Dio, per un nuovo futuro; ma nelle loro parole, sempre mitigate per non ferire i cari a casa, si leggono lo sconforto, l’amarezza e la paura.

Sono stata diversi anni fa a visitare le trincee del Monte Piana, ho camminato dentro quei corridoi profondi, da cui nulla si vede se non le pareti di pietre sgretolate dal tempo. Serve un artificio mentale per capire l’orrore di chi ha combattuto lassù. Dopo la salita, ecco di colpo aprirsi un panorama lunare, mozzafiato: un altopiano maestoso che, visto dal punto più basso, sembra un pascolo d’altura, ma invece è un traforo di camminamenti, dove i soldati vivevano e partivano all’assalto. Lassù ci si sente totalmente esposti.
“La lotta per gli altipiani è particolarmente cruenta perché unisce i rigori della guerra di montagna allo strazio della guerra di trincea”, scrive l’autore dedicando agli altipiani un intero capitolo.
Sulle Tofane, invece, vince la vertigine. Ho percorso la galleria di mina del Castelletto, osservando il panorama spettacolare dalle feritoie, cercando di immaginare non le vie di arrampicata e le ferrate, ma cannoni puntati. Lì i soldati potevano fingere di sentirsi al sicuro, tentando di non pensare al nemico appena sopra di loro e all’esplosivo che stavano piazzando.
Un mondo che rischia di sembrare epico, grazie alla propaganda degli anni successivi, che ha trasformato i giovani caduti in eroi, ma che deve invece insegnare ai giovani di adesso l’inutilità e la crudeltà delle guerre.
Salendo lungo i sentieri dolomitici, sotto le affascinanti pareti a strapiombo si incontrano lapidi, si incrociano gallerie dove affiorano, a causa del riscaldamento globale, reperti bellici che sembrano giocattoli arrugginiti ed erano armi o protezioni inefficaci contro le pallottole. “Nessuno può attraversare questi reliquiari con un cuore neutrale”scrive Enrico, “perché la guerra riguarda tutti, e tutti hanno un nonno che non è tornato, o è stato ferito, o è tornato segnato e vuoto”.
Con Il fuoco e il gelo Enrico Camanni ripercorre, con i soldati italiani e austriaci, quegli anni terribili, senza pretendere di poter rispondere alla domanda “perché?”, facendoci sperare invece che non la si debba mai più porre. 

Cerca nel blog