martedì 19 febbraio 2013

Maria Carla Fruttero, La mia vita con papà, Mondadori


Ogni volta che leggiamo un romanzo, entriamo in contatto con l’autore, ne assimiliamo il modo di vedere i luoghi, i fatti, comprendiamo quello che pensa e quello che ci racconta. E tanto più un autore è bravo, tanto più ce ne dimentichiamo, creando noi stessi quella figura dell’autore “implicito” che in realtà non esiste. La sua persona reale non è messa in evidenza nelle pagine, ma traspare in minuscoli indizi che invogliano a cercarli, trasformando la lettura in una caccia al tesoro, che altro non è che una caccia all’autore.
E’ quello che accade leggendo i romanzi di Fruttero e Lucentini, due personalità distinte, due caratteri diversi, che si amalgamavano a tal punto nella narrazione, da dar vita ad una nuova entità.
Allora la curiosità di conoscerli al di fuori delle loro opere diventa forte, e non sempre le biografie riescono in questo intento. Le celebrazioni si sprecano, le analisi a posteriori anche, soprattutto nel caso di Lucentini che, malato terminale, decise di chiudere di propria iniziativa il suo cammino terreno.

Maria Carla Fruttero, Carlotta, Fragolina, Trappoletta, la primogenita del grande scrittore,
ne riporta in questo libro la quotidianità. Quel che ne esce è una figura di padre, marito, amico; un padre affettuoso e sereno, un marito presente e sicuro anche nelle molte difficoltà familiari; un amico su cui contare in caso di bisogno o per una festa spensierata.
E raccontando di lui, Carla racconta se stessa: una donna normale, vissuta in una famiglia con i pregi e i difetti di tutte le famiglie; una ragazza ribelle, ansiosa, ma anche affettuosa e attenta.
Tra le righe di una vita apparentemente comune, si vede la Torino degli anni di piombo, il fermento di una comunità intellettuale che ha segnato un’epoca letteraria; nella descrizione leggera delle giornate di bambina e di ragazza, si nascondono un’infanzia e una giovinezza assolutamente uniche e privilegiate. In casa Fruttero a Torino, a Trana, a Roccamare, passavano e si fermavano Pietro Citati e Italo Calvino; nei corridoi Carlotta incrociava firme del giornalismo e nomi illustri del cinema internazionale.
Ma se “La  mia vita con papà” punta a rappresentare nell’intimità del quotidiano un uomo comune, nelle lettere scritte a mano, nelle pagine di diario scritte solo per se stesso, si intuisce con ancora maggiore evidenza la forza narrativa di un autore formidabile.
La doppia biografia scorre lungo il tempo cronologico, divagando e soffermandosi, allungando e contraendo mesi e anni; ripercorre i momenti importanti della famiglia: l’uscita dei romanzi, le trasmissioni televisive, ma anche le gite in barca, le chiacchierate e il lento inesorabile deperimento fisico degli ultimi anni.
Ogni tanto un intervallo in corsivo, una riflessione estemporanea che riporta, per un momento, al “qui e ora”, come a rammentare al lettore che quel mondo non c’è più, che quelle persone meravigliose che popolano le pagine non son altro che a loro volta personaggi.
Maria Carla Fruttero con Enrico Camanni e Carlin Petrini
alla presentazione della rivista Turin
Torino, teatro Carignano, dicembre 2012

lunedì 18 febbraio 2013

Sergio Vigna, La lunga strada, L'Araba Fenice


Sabato 2 febbraio, dopo la pausa natalizia, la libreria Casa dei Libri ha riavviato il programma di incontri letterari. Ad inaugurarlo è stato lo scrittore di San Bernardino, frazione di Trana, Sergio Vigna, con il suo ultimo romanzo “La lunga strada”, edito dalla casa editrice di Cuneo L’Araba Fenice.
Quel pomeriggio, mentre il vento infuriava sulle strade di Avigliana, sollevando foglie secche e sbatacchiando imposte e finestre, il pubblico si è radunato nella libreria, per ascoltare le parole dell’autore.
Dopo l’esperienza di “Rasim”, romanzo per ragazzi e di “Prodigio a pie’ dell’Alpi”, romanzo storico su un miracolo avvenuto al Santuario di Trana, lo scrittore si è dedicato ad un’opera per adulti: la storia di un viaggio che un papà separato intraprende con la figlia verso Rovaniemi, in Finlandia, dove c’è la casa di Babbo Natale.
- Ho collaborato come volontario per dieci anni nell’associazione “Sollievo” di Leinì – spiega Sergio, - e ho conosciuto situazioni di disagio infantile diversissime tra loro. Da lì è nata la storia della mia piccola protagonista. –
Corinna, bimba di otto anni, si chiude in se stessa quando viene a sapere della separazione dei suoi genitori e smette di parlare.
- Spesso noi adulti tendiamo a dimenticare, quando siamo troppo occupati a rinfacciarci i nostri errori, che i nostri figli patiscono e soffrono ben più di noi. Per questo la bambina del mio libro, seppur in modo involontario, si isola dal dolore, chiudendosi in quello che i medici definiscono “mutismo selettivo”. –
Una signora dal pubblico confessa di aver letto il libro tutto d’un fiato, durante un viaggio in treno: - Non riuscivo a smettere, e alla fine avevo gli occhi lucidi di commozione. –
Ma la conversazione si allarga, si passa al viaggio in sé, alla meta favolosa dei paesi del nord Europa, con la loro natura incontaminata, con i ritmi lenti e intimi della vita in roulotte.
- I miei figli ricordano ancora con gran nostalgia le nostre vacanze nella scomoda barca a vela - commenta un’altra spettatrice, sottolineando un secondo aspetto del romanzo: il viaggio lento sulle strade, con un rimorchio attaccato alla macchina, la vita più ruspante dei campeggi, ma anche più intima, famigliare.
Abbandonata l’attività frenetica di tutti i giorni, padre e figlia riscopriranno il piacere del silenzio, dell’incontro diretto con la natura, del  loro reciproco affetto, che credevano scomparso. Il ritorno sarà un nuovo inizio.

Pubblicato su "La Valsusa" di giovedì, 21 febbraio

venerdì 15 febbraio 2013

Galline ovaiole bis


Ho trovato questa notizia su "Sette", l’inserto del venerdì del “Corriere della sera”; ne ho cercato conferma su internet ed è vera, quindi ve la riporto.
In Francia, nel diparimento di Doubs, inizierà un esperimento per la riduzione dei rifiuti. Verranno regalate due galline a quindici famiglie; queste galline dovranno razzolare nella spazzatura domestica. Ogni animale, sostiene l’azienda che ha iniziato il progetto, è infatti in grado, durante il "becchettaggio", di eliminare 150 kg di rifiuti in un anno, cosa che permetterebbe una diminuzione della spesa per la raccolta dell'immondizia. Con il risultato finale di avere, se funzionerà, più spazzatura eliminata e più uova prodotte.
 
Ora, le domande che mi pongo sono molte.
La prima in assoluto è: di che spazzatura si tratta? Spero che sia quello che abbiamo imparato a chiamare "umido", cioè le bucce, il pane secco, le croste di formaggio, e non i tetrapack, gli involucri di polistirolo o tutto ciò che non è riciclabile e che andrebbe nell’indifferenziato.
La seconda domanda è: ma se la spesa per la raccolta dell’immondizia non riguarda neanche lontanamente la quantità della stessa che una famiglia produce, bensì i metri quadrati dell’abitazione, è necessario ospitare le galline in salotto o accatastare il bagno come “pollaio”?
La terza domanda riguarda le perplessità dell’azienda stessa e cioè il “se funzionerà”. Io penso che delle galline sane, a cui si danno bucce di mela, pane, foglie di cavolo, a meno di patologie impreviste, produrranno uova e razzoleranno felici, beccandosi tra loro ogni tanto qua e là. A meno che i membri delle quindici famiglie non siano dei patiti della tintarella e magari un giorno, afferrando il bicchierone di Negroni con ghiaccio posato sul tavolino del Mediterranée di Columbus Isle, spalanchino gli occhi riparati dalle Ray-Ban color cioccolato e si battano una mano sulla fronte esclamando: - Le galline! –
Ma questi sono rischi che ogni esperimento ben organizzato deve calcolare.
La quarta e ultima domanda è forse la più triste: ma se consideriamo un "esperimento" ciò che si faceva regolarmente in tutte le case con un po' di cortile, e un po’ di buon senso, a che punto siamo arrivati?

(L’articolo si trova su “Sette” del 25 gennaio 2013, l’autrice è Donatella Bogo)

 

 

lunedì 11 febbraio 2013

Giorgina Altieri presenta "I Papiri di Ty" alla libreria Panassi


Mercoledì 13 dicembre  è stato presentato, alla libreria Panassi di Sant’Ambrogio, il libro di Giorgina Altieri, “I papiri di Ty, delle edizioni  Neos.
Un luogo più adatto non lo si poteva immaginare: una scaletta in legno si insinua tra gli scaffali ricolmi della libreria, scende in un locale in cui Presepi di ogni parte del mondo fanno bella mostra di sé; poi lo sguardo vaga verso un’apertura, lungo un corridoio spoglio. E’ inevitabile il paragone con il romanzo: il magazzino della libreria porta la fantasia del lettore ai sotterranei di un museo, ad una stanza nascosta di un deposito portuale, che potrebbe svelare misteri e racchiudere tesori.
Giorgina Altieri, volontaria alla Sacra di San Michele, dove organizza con i numerosi altri membri del gruppo visite, convegni e cantoria, è una scrittrice curiosa ed una attenta ricercatrice. Conosce bene il Museo Egizio di Torino, in cui ha ambientato molta parte del suo ultimo romanzo, e la storia dei reperti archeologici giunti a Torino dall’Egitto nel corso dell’Ottocento, in modo talvolta avventuroso.
- Volevo raccontare due storie contemporaneamente: quella della collezione del museo di Torino, e quella dei ragazzi protagonisti, con le loro curiosità tipiche di quell’età. –
L’idea è nata a Barbania, nel municipio, dove un ritratto di Drovetti ha attirato l’attenzione della scrittrice e della sua editrice, Silvia Ramasso. Bernardino Drovetti, collezionista d’arte, esploratore e diplomatico per la Francia in Egitto, creò con la sua collezione la base del Museo Egizio.
- Il guaio è che a Barbania metà degli abitanti si chiamano Drovetti! – spiega sorridendo la Altieri. – Io ci andavo da piccola, quindi giocavo in casa, ma ho dovuto svolgere un gran lavoro di ricerca, che mi ha portato anche a Livorno, negli ambienti cupi e affascinanti della Venezia, il quartiere portuale. –
Nel porto di quella città, libera dai dazi doganali, nel periodo in cui è ambientato il romanzo, cioè gli anni venti del Novecento, lavora come magazziniere un ragazzo, Giovanni. Anche lui viene dal paesino del canavese, e suo zio, il suo titolare, ha un comportamento misterioso, e anche uno strano tatuaggio…
- La curiosità di Giovanni viene accesa dall’incontro con Omar, un ragazzino egiziano un po’ borderline, che vive nascosto nel porto di Livorno. Le loro scoperte, in parte casuali, uniranno la loro storia a quella delle altre due protagoniste: Margot, studentessa di archeologia a Parigi, e Bianca, figlia del custode del museo egizio - spiega Silvia Ramasso. Margot possiede una casa a Barbania, ma vuole venderla per continuare gli studi nella Ville Lumière: peccato che il notaio designato per procedere agli atti di vendita sia un po’ particolare, e che il loro incontro non sia esattamente come se lo aspettava la giovane donna.
- Ho cercato di vedere i fatti con gli occhi di una ragazza – racconta l’autrice, - e le opere esposte nel museo con gli occhi dei bambini che accompagno nelle gite scolastiche, mettendo in bocca a Bianca i loro commenti. –
Giorgina, infatti, insegna nella scuola primaria, sa cosa piace ai ragazzi e come accattivarne l’attenzione, rendendo i suoi romanzi avvincenti con il mistero e la storia.
- Ho dovuto aggiungere qualcosa alla realtà: ad esempio la regina Ty, madre di Akhenaton e moglie di Amenhotep (Amenofi) III, è realmente esistita e fu una delle tre donne più importanti della storia dell’antico Egitto. Ma di lei non c’è nulla al Museo Egizio, e solo il Louvre ha una statuetta di malachite che la rappresenta. –
Una piccola delusione, forse, ma restano le altre attrazioni che si possono realmente visitare: l’elefante Fritz, impagliato nel museo di scienze naturali di Torino, le grandi statue del Museo Egizio e la villa di Barbania, con la targa che commemora il luogo di nascita del grande Drovetti.
Dunque buona lettura e via libera alla fantasia.

 

Joanne Harris, Il giardino delle pesche e delle rose, Garzanti


Tutto all’apparenza è rimasto come prima: il paesino di Lansquenet, con le case in pietra, sparse lungo il corso della Tannes, la chiesa e i fedeli racchiusi nella loro piccola mediocrità,  la casa galleggiante e il vento. Soprattutto il vento. In estate, nella piana francese, soffia l’Autan, le vent des fous, il vento dei folli. E come otto anni prima, è ancora il vento a richiamare Vianne Rocher, a portarla via dalla Parigi che l’ha accolta dandole un nuovo futuro.
E’ il vento a ricondurla ai suoi vecchi amici, ai suoi sospettosi e pettegoli compaesani, nell’unico posto in cui si era sentita a casa: Lansquenet. Lì, in quelle case di pietra, tra quei vicoli lastricati di porfido, aveva aperto la Céleste Praline, la bottega di “Chocolat”. Il richiamo è forte e imprevedibile, giunge per lettera da una voce ormai scomparsa, quella della sua amica Armande, spavalda distruttrice di regole e convenzioni. “C’è bisogno di te”, un richiamo impossibile da ignorare per la generosa Vianne, che con Anouk e Rosette, le sue due figlie, lascia Parigi e torna là dove tutto sembra rimasto immutato, dove invece è tutto profondamente cambiato.
Les Marauds, quartiere zingaro lungo la volubile Tannes, è divenuto il rione islamico, con la moschea e il minareto. Inutili gli sforzi di père Henri Raynaud di assorbire pian piano i suoi residenti nella quiete delle abitudini locali; inutili anche le mediazioni del vecchio Majoubi, pacifico capo della comunità, che non vuole il niqab per le donne e legge Victor Hugo. Giorno dopo giorno gli equilibri si sfaldano, i pregiudizi diventano rancori, le malelingue trovano di che nutrire la loro curiosità maligna.
Al suo arrivo Vianne trovai muri della sua vecchia chocolaterie bruciati da una mano ignota, la sua amica Josephine ancora nel bar che detestava, le giovani donne della comunità dei Marauds soggiogate dal potere di una misteriosa figura femminile e dal fascino di Karim, un uomo bello e misterioso. E a Vianne il compito di cercare il bandolo di questa intricata matassa.

I  fedeli lettori di Joanne Harris ritrovano in queste sue ultime pagine tutte le atmosfere dei precedenti romanzi; i profumi delle stagioni e i cibi delicati o decisi delle sue ricette.
Forse, però, proveranno un pizzico di delusione: la trama stenta a decollare, con mille giri attorno al vento, ai colori delle persone, alle sensazioni di Vianne. I momenti chiave del romanzo vengono inframmezzati da descrizioni talvolta ripetitive e i personaggi, comunque interessanti e colmi di fascino, sono troppi e, soprattutto nel caso di quelli femminili, troppo simili. Anche la terminologia islamica è in qualche caso eccessiva, tanto da sembrare un’ostentazione e da risultare quasi un ostacolo allo scorrere della trama.
Tutto ciò non è, però, che un lieve intoppo in un romanzo tuttavia piacevole, ma che, con un centinaio di pagine in meno, sarebbe risultato decisamente ottimo.

giovedì 7 febbraio 2013

Michael Crichton e Richard Preston, Micro, Garzanti


Quando seppi della morte di Michael Crichton ne rimasi molto colpita e amareggiata.  E’ sempre un dispiacere la scomparsa di un uomo di sessantasei anni, soprattutto dopo la sofferenza di un cancro, anche se la persona in questione non è un nostro amico e neppure un conoscente. Ma nel suo caso sentivo un legame, non giustificato da conoscenza diretta, eppure forte. Le sere passate in compagnia dei suoi romanzi, la curiosità che mi mettevano le sue trame, il desiderio di conoscere che le spiegazioni scientifiche dei suoi intrecci mi scaturivano, lo avevano trasformato, da semplice, freddo autore, a compagno di piacevoli conversazioni, non meno coinvolgenti perché immaginate.
Una lezione che tutti dobbiamo imparare dalla vita è che nessuno è indispensabile, certo;  ma che qualcuno sia così unico da lasciare un vuoto alle sue spalle è altrettanto sicuro.
E’ con questa sensazione, quindi, che ho affrontato la lettura di “Micro”, il suo ultimo romanzo, a cui stava lavorando quando la malattia lo vinse. Era riuscito a scriverne solamente un terzo, durante le cure per il cancro, e a stenderne un abbozzo di trama.
Quando lo scrittore Richard Preston  venne contattato dall’agente di Crichton per completare il suo romanzo, fu avvinto dalla trama e, nonostante alcune perplessità, accettò. Ma durante la stesura fu coinvolto a tal punto da non riuscire egli stesso a definire ora quante delle pagine, che compongono il libro, siano sue e quante da attribuire al grande autore che ammirava. E lo stesso avviene adesso al lettore.
- Le parole da lui scritte – spiega Preston in un’intervista a “USA Today”, - sono quelle di un uomo geniale, in corsa contro la morte. –
Un uomo dalla mille idee, che sapeva di dover rinunciare ad un progetto, ma che ha lasciato appunti a sufficienza perché qualcun altro lo raccogliesse.
Preston ha affrontato quel compito. 

Sette giovani scienziati vengono contattati dal proprietario di una industria che si occupa di nanotecnologie sull’isola di Oahu, nelle Hawai. Lo scetticismo dei ragazzi è vinto dalla prospettiva di un guadagno corposo e tutti decidono di andare di persona a controllare. Il giorno prima della partenza, però, uno di essi riceve un messaggio dal fratello, socio in affari del proprietario, con le semplici parole: “Non venire”, da un telefono ormai irraggiungibile.
Lo scienziato affretta invece la partenza, ma al suo arrivo riceverà una brutta notizia: suo fratello è morto in un incidente. Cominciano le indagini, ma ben presto i ragazzi si ritrovano nella fabbrica di nano robot, e loro stessi protagonisti di un rimpicciolimento mostruoso.

Un “Jurassic Park” al microscopio, che farà rimpiangere agli appassionati il prossimo libro di questo autore, che non uscirà.

 

Cerca nel blog