martedì 29 ottobre 2013

Paolo Repossi, L'erba che fa il grano, Instar


Rimango ogni volta stupita di quanto sia meraviglioso chiudere un libro e poco dopo incontrarne l’autore. Quando un romanzo mi appassiona e mi coinvolge, nel corso della lettura entro in sintonia con chi scrive. I personaggi diventano vivi, assumono le fattezze di persone che potrei aver conosciuto, le vicende che li legano sono anche le mie e mi ritrovo a condividere o a condannare le loro scelte. Con trepidazione, li vedo infilarsi in situazioni difficili e dolorose e mi emoziono per un evento felice.
Così, con L’erba che fa il grano, ho vissuto fianco a fianco con Pietro, il nonno dei Mezzadra, che piantava una quercia per ogni nascita; ho visto i nipoti venire alla luce, crescere; ho cercato di capire con quale intuizione la mamma Lucia avesse trovato per loro il nome perfetto, che li avrebbe avviati al loro destino.
Così quando Pietro il giovane, nipote del vecchio Mezzadra, è partito per la guerra ho trepidato per lui; quando il ribelle Libero ha abbandonato il lavoro dei campi per inseguire il suo sogno ho sentito l’entusiasmo e il timore avvolgermi.
«Ognuno dei miei personaggi è vivo nella mia mente» ha spiegato Paolo Repossi all’incontro nella libreria La Casa dei Libri di Rivalta. «Scelgo per loro il destino e cerco di renderlo nel migliore dei modi sulla carta.»
Per questo, durante la presentazione, ho scelto di leggere brani che rappresentassero i diversi caratteri dei personaggi. Così Libero non sopporta le persone che camminano piano, “diceva che così camminano quelli che hanno fatto i soldi” e l’intraprendente Nella ha un modo di salutare che contiene già un giudizio: “Non era mai un ciao e basta, era quasi sempre un ciao più qualcos’altro, di solito un ciao e va’ a quel paese.”
La scrittura asciutta e veloce di Repossi scivola rapida lungo gli eventi del Novecento italiano, che contornano i fatti di una famiglia numerosa, venuta dalla terra, ma diretta verso ogni possibile futuro.
«Non posso dedicare molto tempo alla scrittura, al massimo, un’ora al giorno» sorride al pubblico lo scrittore. «Per questo ho diviso il romanzo in rapidi episodi, in capitoli brevi che si concludono, ognuno concatenato con i successivi.»
Anche il romanzo sembra seguire un andamento ciclico, con allontanamenti e ritorni, con bruschi cambi di direzione e ricongiungimenti, in una spirale che riporta sempre alla famiglia, al ricordo delle origini e ai legami indissolubili che hanno creato. Basta un’unica frase, quasi al termine del romanzo, per comprendere questo:
“C’è sempre un momento, nella vita delle persone, in cui cambia un po’ l’aspetto e improvvisamente si somiglia a qualcuno. Quinto adesso sembrava la copia esatta di suo padre.”

 

 

giovedì 10 ottobre 2013

Massimo Tallone, Il diavolo ai giardini Cavour, E/O


Quando il signor Azalea varca la soglia dell’agenzia immobiliare di piazza Cavour, con il suo completo turchese e il farfallino rosso papavero, il Gufo, titolare della medesima agenzia, annusa subito profumo di soldi. Lo fa accomodare e resta in educata e curiosa attesa, mentre l’azzimato damerino espone la sua richiesta. Il suo volto allenato riesce a non far trasparire il benché minimo stupore, sebbene per un istante abbia vacillato, nonostante la sua gigantesca esperienza in fatto di stranezze. Una casa in cui sia stato commesso un omicidio efferato, ancor meglio se multiplo, ecco il desiderio del signor Azalea; se poi il sangue che ha imbrattato muri e pavimenti fosse ancora fresco, si potrebbe persino alzare la già generosissima offerta.
Anna, la decisa segretaria, e Vienna, collaboratore discreto e delicato, ascoltano la richiesta strampalata augurandosi che, per una volta, il Gufo non si scagli a corpo morto in un’impresa assurda, trascinandoli con il suo serafico entusiasmo in una situazione complessa.
Speranza vana, nel giro di pochi giorni si ritroveranno invischiati in un delitto tanto efferato quanto originale, con la polizia che ronza in continuazione come uno sciame di mosche attorno all’agenzia e una presenza misteriosa quanto allarmante che sembra non mollarli un momento.
La Torino magica e demoniaca dà lo spunto all’umorismo di Massimo Tallone, che costruisce il suo nuovo giallo tra riti crudeli, riflessioni filosofiche e momenti di una comicità così trascinante da farci precipitare alla fine del romanzo, dove, una volta arrivati, non possiamo che rimpiangere di aver già finito. 

Massimo Tallone
è stato con noi alla
Casa dei libri di Rivalta
 sabato 12 ottobre
 

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