Rimango
ogni volta stupita di quanto sia meraviglioso chiudere un libro e poco dopo incontrarne
l’autore. Quando un romanzo mi appassiona e mi coinvolge, nel corso della
lettura entro in sintonia con chi scrive. I personaggi diventano vivi, assumono
le fattezze di persone che potrei aver conosciuto, le vicende che li legano
sono anche le mie e mi ritrovo a condividere o a condannare le loro scelte. Con
trepidazione, li vedo infilarsi in situazioni difficili e dolorose e mi
emoziono per un evento felice.
Così,
con L’erba che fa il grano, ho
vissuto fianco a fianco con Pietro, il nonno dei Mezzadra, che piantava una
quercia per ogni nascita; ho visto i nipoti venire alla luce, crescere; ho
cercato di capire con quale intuizione la mamma Lucia avesse trovato per loro
il nome perfetto, che li avrebbe avviati al loro destino.
Così
quando Pietro il giovane, nipote del vecchio Mezzadra, è partito per la guerra
ho trepidato per lui; quando il ribelle Libero ha abbandonato il lavoro dei
campi per inseguire il suo sogno ho sentito l’entusiasmo e il timore
avvolgermi.
«Ognuno
dei miei personaggi è vivo nella mia mente» ha spiegato Paolo Repossi
all’incontro nella libreria La Casa dei Libri di Rivalta. «Scelgo per loro il destino e
cerco di renderlo nel migliore dei modi sulla carta.»
Per
questo, durante la presentazione, ho scelto di leggere brani che
rappresentassero i diversi caratteri dei personaggi. Così Libero non sopporta
le persone che camminano piano, “diceva che così camminano quelli che hanno
fatto i soldi” e l’intraprendente Nella ha un modo di salutare che contiene già
un giudizio: “Non era mai un ciao e basta, era quasi sempre un ciao più
qualcos’altro, di solito un ciao e va’ a quel paese.”
La
scrittura asciutta e veloce di Repossi scivola rapida lungo gli eventi del Novecento
italiano, che contornano i fatti di una famiglia numerosa, venuta dalla terra,
ma diretta verso ogni possibile futuro.
«Non
posso dedicare molto tempo alla scrittura, al massimo, un’ora al giorno»
sorride al pubblico lo scrittore. «Per questo ho diviso il romanzo in rapidi
episodi, in capitoli brevi che si concludono, ognuno concatenato con i
successivi.»
Anche
il romanzo sembra seguire un andamento ciclico, con allontanamenti e ritorni,
con bruschi cambi di direzione e ricongiungimenti, in una spirale che riporta
sempre alla famiglia, al ricordo delle origini e ai legami indissolubili che
hanno creato. Basta un’unica frase, quasi al termine del romanzo, per
comprendere questo:
“C’è
sempre un momento, nella vita delle persone, in cui cambia un po’ l’aspetto e
improvvisamente si somiglia a qualcuno. Quinto adesso sembrava la copia esatta
di suo padre.”
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