Il
Natale è la festa dell’amicizia, della famiglia, della casa. Si addobbano le
finestre, i balconi, in modo che anche soltanto chi passa senta il desiderio di
fermarsi, di gustare il piacere di quella casa accogliente. Si bussa a porte
con ghirlande verdi e dorate, si entra in salotti dove l’albero si accende e
spegne ad intermittenza e il presepe ha spodestato soprammobili e portafoto.
Man
mano che i giorni passano, lungo le strade le luci aumentano, con giochi ed
effetti che (finalmente) pare abbiano spodestato i Babbi Natale appesi alle ringhiere.
Quel che si vuole dire, con questi messaggi in codice, è che vogliamo
festeggiare, vogliamo sentirci bene, in compagnia.
Per
questo a Natale la solitudine si fa sentire in modo feroce; il dolore, la
perdita si accaniscono con maggiore crudeltà e spietatezza, proprio per il
contrasto indelicato di questa sfrontata allegria diffusa. Il tempo per
assimilare, per sedare il dolore non c’è. La festa si avvicina e sembra
inconcepibile anche solo il ricordo della gioia.
Che
fare? Non lo so, come temo non lo sappia nessuno. Penso che ci sia soltanto la possibilità
di condividere: portando il peso in tanti forse si alleggerirà il fardello. Cercando
di trasmettere vicinanza, si proverà a contagiare con la serenità, seppure
ancora lontana, seppure ancora da conquistare.
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