giovedì 17 dicembre 2015

Le vite degli altri

Mancavano ancora dieci giorni a Natale, ma il centro del paese era tutto uno sfolgorio di luci. Si guardò intorno un po’ intimorita, ma anche segretamente affascinata. Da un lato all’altro della strada, stendardi luminosi collegavano i balconi dei primi piani, i monumenti e le case più antiche erano diventati schermi per proiezioni gigantesche: scritte di auguri, fiocchi di neve e angioletti si alternavano sulle facciate della piccola chiesa e del campanile.
Si riscosse e si incamminò lungo la strada in discesa, calpestando il porfido con le comode polacchine, sbirciando qua e là dentro le vetrine scintillanti di luci e oggetti attraenti. Era molto tardi, eppure tutti i negozi erano affollati e anche lungo la strada le auto faticavano a scansare i pedoni. Molti dovevano essere amici, perché ad ogni passo qualcuno si fermava per salutare, abbracciare e sorridere a qualcun altro. Passando accanto a questi gruppetti improvvisati, sentiva stralci di conversazioni e frasi smozzicate.
«… è stato poco bene, ma a Natale ci sarà di sicuro», «…parcheggiato così lontano che facevo prima a venire a piedi, e dire che…», «… eh, povera donna, chissà che brutto periodo…».
Le sembrava di assistere ad uno spettacolo, osservando le vite degli altri. Erano queste, dunque, le vite degli altri?
Si accorse di essere di nuovo ferma e allora, tenendo lo sguardo basso, si infilò nella farmacia, la sua meta. Anche qui c’erano molte persone, e il calore le fece appannare gli occhiali. Si sentiva frastornata e un leggero capogiro la investì, facendole perdere l’equilibrio.
«Mi scusi, mi scusi tanto» mormorò quasi tra sé, risistemandosi lontano dal signore corpulento che aveva urtato e che le rispose con un grugnito. Qui non dovevano esserci amici, perché uno strano silenzio regnava in quella folla e i volti erano scuri. Una giovane donna si avvicinò al banco con un bimbetto in braccio, infagottato in una giacca gonfia di un azzurro vivace. Lei gli sorrise e fece ciao con la mano. Il bimbo la fissò, poi si voltò di scatto.
«Mamma, quella signora è tutta nera. È cattiva!» gridò.
La giovane mamma si girò verso di lei:
«Stai tranquillo, Mattia, ha il velo, ma non è pericolosa».
Pericolosa? Ma stava parlando di lei? Si sentì infiammare dalla vergogna e andò subito al banco; il farmacista la servì in fretta, ma con molta gentilezza. Le diede una borsettina di nylon piena di scatolette e le augurò buon Natale. Lei sorrise e scappò in strada.
Il freddo ora pungeva e lei sentì le lacrime ghiacciarsi sulle ciglia; tirò fuori dalla tasca un fazzoletto ruvido e si soffiò il naso. Non si era mai sentita così strana.
Si incamminò di buon passo, ripercorrendo la strada in salita, verso casa. I negozianti  stavano cominciando ad abbassare le saracinesche e i passanti si erano diradati, ognuno verso il caldo della propria casa, della propria famiglia.
Arrivata al portoncino, infilò la grossa chiave ed entrò nell’ingresso che odorava di cera e finalmente si sentì al sicuro. Si tolse il cappotto grigio e lo mise nel grosso armadio con tutti gli altri.
«Bentornata, Francesca, era ora! Ti stavamo aspettando» le venne incontro Teresa, aiutandola a togliersi la sciarpa. «Fa un bel freddo fuori, eh?»
«Un freddo terribile, non vedevo l’ora di tornare» disse Suor Francesca rabbrividendo.
«Sia lodato Gesù Cristo» sorrise Suor Teresa, poi insieme si avviarono verso il profumo di minestra del refettorio.

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