C’era
una volta una ragazza, che si chiamava Sofonisba. Aveva i capelli castani e gli
occhi castani, e una pelle bianca come un foglio di carta di quaderno. Era
bianca perché non stava mai al sole: si sarebbe riempita tutta di bolle,
diceva. Ma nessuno lo sapeva, perché non era mai stata al sole.
Lavorava
in un ufficio di una grande azienda, al primo piano interrato, e inseriva dati
in un gigantesco schedario, che poi divenne ancor più gigantesco, per poi
diventare un grande computer, man mano che gli anni passavano.
Sofonisba,
ormai non più ragazza, trascorreva in quell’ufficio otto ore al giorno, poi
usciva salutando tutti i colleghi, come li aveva salutati all’ingresso, e
andava a casa. Abitava all’ultimo piano di un caseggiato di periferia, senza
ascensore, e di questo era contenta, perché facendo le scale quattro volte al
giorno riusciva a mantenersi in forma. Infatti, una volta salita in casa, si
cambiava le scarpe e riscendeva i sei piani per andare a comprare la cena e per
fare un giretto nella libreria al pian terreno. Ci restava fino all’ora di
chiusura, poi, per due volte alla settimana, si avvicinava alla cassa e
comprava un libro. Ogni giorno, da quando aveva cominciato a lavorare.
Non
spendeva per null’altro che non fosse strettamente necessario: cibo, abiti
caldi o freschi, a seconda della stagione, sapone e rarissimi medicinali, per
quando la salute non era proprio florida. Il suo stipendio finiva praticamente
tutto negli scaffali di casa sua, ormai ricolmi di volumi, piccoli e grandi,
economici e rilegati, colorati o tutti bianchi. Aveva anche cominciato a creare
pile di libri che dal pavimento salivano come stalagmiti verso il soffitto.
Erano i suoi soli amici, con i quali trascorreva momenti favolosi.
Un
orribile giorno di tre anni fa, Sofonisba, posando la mano ormai rugosa sulla
maniglia della libreria, si bloccò raggelata. Un cartello scritto a mano
diceva:
“Svuotiamo
tutto. Libri a metà prezzo”.
Varcò
la soglia con un terribile senso di oppressione sul petto, un malessere che non
aveva mai provato.
«Dobbiamo
chiudere» le spiegò l’anziana libraia con un sospiro, «troppe spese e pochi
clienti» poi tornò alla cassa, dove una ragazza aveva appena posato una
discreta pila di libri.
«Ci
mancherà moltissimo, signora Emilia» le disse la giovane. «Come farò senza i
suoi consigli?».
«E
dove andrò adesso a comprare i libri?» chiese invece Sofonisba, che di consigli
non aveva mai avuto bisogno.
La
ragazza la guardò; aveva occhi verdi e capelli biondo rossicci, lunghi fin
quasi alla vita; la sua pelle era bianca come lo era stata quella di Sofonisba,
prima che il tempo la facesse virare al grigio spento.
«C’è
una bella libreria in Piazza Milano. È di un mio giovane collega, ma lei,
signora, si troverà benissimo: è stipata di volumi fin quasi al soffitto»
spiegò Emilia, ma Sofonisba la guardò orripilata: piazza Milano era a più di
un’ora di cammino e lei non si sarebbe mai avventurata così lontano da casa e
dal suo ufficio.
Probabilmente
lo disse a voce alta, perché la ragazza dai capelli fulvi esclamò:
«Possiamo
andarci insieme in metropolitana. A s-proposito, io mi chiamo Melinda» e le
porse la mano.
Fu
una strana avventura, per l’anziana donna, scendere le scale mobili, passare
oltre i cancelli automatici e salire su quel treno che sfrecciava senza nessuno
alla guida. E più ancora fu straordinario il fatto che, durante il tragitto,
cominciasse ad ascoltare la ragazza, con interesse che andava via via
crescendo, man mano che scopriva l’amore condiviso per i libri.
Adesso
Sofonisba è in pensione già da qualche anno; durante il giorno aiuta Melinda
con i due bimbi e le faccende di casa, mentre la ragazza è al lavoro. Ma alla
sera, proprio all’ora in cui usciva dall’ufficio, si siede in poltrona e,
finalmente, legge, stanca ma estremamente felice.
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