sabato 12 dicembre 2015

Una strana avventura

C’era una volta una ragazza, che si chiamava Sofonisba. Aveva i capelli castani e gli occhi castani, e una pelle bianca come un foglio di carta di quaderno. Era bianca perché non stava mai al sole: si sarebbe riempita tutta di bolle, diceva. Ma nessuno lo sapeva, perché non era mai stata al sole.
Lavorava in un ufficio di una grande azienda, al primo piano interrato, e inseriva dati in un gigantesco schedario, che poi divenne ancor più gigantesco, per poi diventare un grande computer, man mano che gli anni passavano.
Sofonisba, ormai non più ragazza, trascorreva in quell’ufficio otto ore al giorno, poi usciva salutando tutti i colleghi, come li aveva salutati all’ingresso, e andava a casa. Abitava all’ultimo piano di un caseggiato di periferia, senza ascensore, e di questo era contenta, perché facendo le scale quattro volte al giorno riusciva a mantenersi in forma. Infatti, una volta salita in casa, si cambiava le scarpe e riscendeva i sei piani per andare a comprare la cena e per fare un giretto nella libreria al pian terreno. Ci restava fino all’ora di chiusura, poi, per due volte alla settimana, si avvicinava alla cassa e comprava un libro. Ogni giorno, da quando aveva cominciato a lavorare.
Non spendeva per null’altro che non fosse strettamente necessario: cibo, abiti caldi o freschi, a seconda della stagione, sapone e rarissimi medicinali, per quando la salute non era proprio florida. Il suo stipendio finiva praticamente tutto negli scaffali di casa sua, ormai ricolmi di volumi, piccoli e grandi, economici e rilegati, colorati o tutti bianchi. Aveva anche cominciato a creare pile di libri che dal pavimento salivano come stalagmiti verso il soffitto. Erano i suoi soli amici, con i quali trascorreva momenti favolosi.
Un orribile giorno di tre anni fa, Sofonisba, posando la mano ormai rugosa sulla maniglia della libreria, si bloccò raggelata. Un cartello scritto a mano diceva:
“Svuotiamo tutto. Libri a metà prezzo”.
Varcò la soglia con un terribile senso di oppressione sul petto, un malessere che non aveva mai provato.
«Dobbiamo chiudere» le spiegò l’anziana libraia con un sospiro, «troppe spese e pochi clienti» poi tornò alla cassa, dove una ragazza aveva appena posato una discreta pila di libri.
«Ci mancherà moltissimo, signora Emilia» le disse la giovane. «Come farò senza i suoi consigli?».
«E dove andrò adesso a comprare i libri?» chiese invece Sofonisba, che di consigli non aveva mai avuto bisogno.
La ragazza la guardò; aveva occhi verdi e capelli biondo rossicci, lunghi fin quasi alla vita; la sua pelle era bianca come lo era stata quella di Sofonisba, prima che il tempo la facesse virare al grigio spento.
«C’è una bella libreria in Piazza Milano. È di un mio giovane collega, ma lei, signora, si troverà benissimo: è stipata di volumi fin quasi al soffitto» spiegò Emilia, ma Sofonisba la guardò orripilata: piazza Milano era a più di un’ora di cammino e lei non si sarebbe mai avventurata così lontano da casa e dal suo ufficio.
Probabilmente lo disse a voce alta, perché la ragazza dai capelli fulvi esclamò:
«Possiamo andarci insieme in metropolitana. A s-proposito, io mi chiamo Melinda» e le porse la mano.

Fu una strana avventura, per l’anziana donna, scendere le scale mobili, passare oltre i cancelli automatici e salire su quel treno che sfrecciava senza nessuno alla guida. E più ancora fu straordinario il fatto che, durante il tragitto, cominciasse ad ascoltare la ragazza, con interesse che andava via via crescendo, man mano che scopriva l’amore condiviso per i libri.

Adesso Sofonisba è in pensione già da qualche anno; durante il giorno aiuta Melinda con i due bimbi e le faccende di casa, mentre la ragazza è al lavoro. Ma alla sera, proprio all’ora in cui usciva dall’ufficio, si siede in poltrona e, finalmente, legge, stanca ma estremamente felice. 

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