Mi
sono chiesta molto spesso in questi giorni, scrivendo i post del calendario
dell’Avvento, se ci sia una parola che possa riassumere lo spirito del Natale
2015, ma non ero ancora decisa fino a ieri. Non che abbia avuto un’illuminazione,
non sono il tipo che riesca a beneficiare di tali privilegi. Il fatto è che il
mio post del 18 dicembre ha innescato una piccola ma proficua discussione
familiare; del resto lo sapevo che parlare dell’uso di facebook e affini
avrebbe toccato corde sensibili.
I
punti fondamentali di questo confronto non del tutto civile sono stati quelli
che riguardavano il terrorismo e l’Isis. Si può scherzare sui social su questi
terribili argomenti? Non si rischia di offendere qualcuno che ha sofferto?
Sì,
naturalmente, ma il rischio di offendere qualcuno è purtroppo sempre in
agguato. Il sarcasmo, l’ironia non sempre vengono compresi da chi ci ascolta e
tantomeno da chi ci legge, che non può sentire il tono di voce o vedere la
nostra espressione.
Che
fare, dunque? Non credo che evitare ogni argomento passibile di equivoci sia la
soluzione, come non lo è il disinteresse verso le emozioni altrui.
Da
qui la mia decisione sulla parola del Natale 2015, che è caduta su “sobrietà”. Non
nel senso di “serietà”, che vieta il sorriso, la risata condivisa anche su temi
seri e duri, ma nel senso di “misura”, di “moderazione”.
Si
può sghignazzare sui terroristi? No: lo sghignazzo implica troppo spesso il
disprezzo. Ma si può ridere, tentare proprio con quell’arma di vincere uno
scontro che altrimenti possiamo soltanto
perdere. Si può cercare di coinvolgere tutti nella nostra risata, soprattutto
chi ha sofferto e ha bisogno di cercare un motivo per sorridere di nuovo. E la
chiave è quello di farlo con sobrietà.
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