Nonostante
io lavori senza orari, e dunque senza vere e proprie vacanze, ogni volta che i
ragazzi sono a casa da scuola partecipo con molto entusiasmo al clima di festa
e relax che creano. Non che questo significhi riposo o tranquillità. Chiunque
abbia figli adolescenti sa che le serate ad ascoltare programmi di musica alla
radio e le domeniche dedicate alla lettura integrale di un libro sono
praticamente impossibili. Una esce, l’altro arriva con gli amici, tutti
affamati come lupi. Tra un film e una birra ecco in agguato le tre verifiche
che li aspetteranno nei tre giorni di scuola post-vacanza.
Eppure
in questi casi io mi sento benissimo. Mi chiedevo il perché di questa anomalia,
io che temo il ticchettare dell’orologio quasi come Capitan Uncino, io che riesco
a respirare un po’ soltanto quando ho cancellato almeno quattro o cinque righe
di impegni sull’agenda. Perché questo andirivieni da stazione, questo caos da
campeggio estivo mi piacciono? Semplice: perché sono gioiosi.
In
tutto il marasma delle mini-vacanze io riesco a sentire il clima festaiolo, la
risata esplosiva, lo spasso latente. Anche tra in libri di scuola e gli
scarponi lo slalom è piacevole, senza pretese.
Il
risultato non conta, l’obiettivo non deve essere raggiunto semplicemente perché
non c’è. Così mi lascio portare da questa corrente strampalata e qua e là
infilo, nei piatti che porto in tavola, nel fuoco del caminetto, nelle coperte
sul divano, un sospetto di Natale: ospitalità, allegria e compagnia reciproca.
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