martedì 15 dicembre 2015

La neve

Nino era un bimbetto di nove anni, piccolo e mingherlino e veloce come un topo, per questo tutti lo chiamavano Ninetto. Era il quarto di cinque fratelli, ma era comunque il più piccolo, perché Giuseppe, di solo un anno più giovane, era alto e robusto. Nino, forse, assomigliava a suo padre, che però non aveva mai conosciuto. Il padre di Giuseppe, invece, era un ambulante che veniva nel loro quartiere due volte all’anno, per la fiera stagionale. Sua madre si era innamorata di lui vedendolo sollevare forme di Grana come fossero cespi di insalata, tendendo le sue braccia possenti e facendole l’occhiolino.
Sua madre aveva un aneddoto per ognuno dei loro padri: il cantante folk che vagava disorientato per la via con la chitarra sulla schiena, il postino dai capelli color carota che sostituiva il vecchio Bertu quando era malato, l’allenatore dei pulcini della squadra della grande città, fino al gracile insegnante di filosofia che l’aveva incantata con le sue frasi incomprensibili, ed era diventato così il padre di Ninetto.
Ninetto era felice, ma rimpiangeva una cosa soltanto: dei nonni. Con tutti quei padri gli sembrava impossibile non avere almeno un nonno o una nonna, soprattutto oggi, la vigilia di Natale.
Quel mattino Ninetto decise di uscire di casa, nonostante facesse molto freddo. Abitava al quarto piano di un grande caseggiato, uguale a tutti gli altri della via, e anche a quelli della via a fianco, ma lui non si sarebbe mai perso: conosceva ogni angolo e ogni tombino come le sue tasche vuote.
L’aria pungeva gli occhi, tant’era fredda, e Ninetto si ficcò le mani nella tasca del giubbotto troppo grande, ereditato dal fratello.  Camminò spedito fino ai giardini deserti e si sedette su una panchina gelida.
«Cosa fai qui, tutto solo?» chiese una voce profonda.
Ninetto si voltò di scatto. Sulla panchina di fianco un vecchio con cappottone logoro lo guardava sorridendo. Ninetto sorrise a sua volta:
«Aspetto la neve» disse.
«Io ce l’ho, la neve» commentò il vecchio con fare saputello, «vuoi vederla?».
Nonetto era già in piedi accanto a lui, allora il vecchio si alzò faticosamente dalla sua panchina e, ridacchiando, si incamminò verso il punto più lontano dei giardinetti. Superarono sentierini, altalene, gruppi di alberi spogli e poi, laggiù, in un’ampia conca, ecco una grande macchia di neve fresca, bianca e soffice. Ninetto non credeva ai suoi occhi.
«Vuoi tuffarti?» gli chiese il vecchio. Il bambino lo guardò con un sorriso che occupava tutta la sua minuscola faccia.
«Allora vai!» ordinò il vecchio, scoppiando in una grassa risata.
Quando fu tutto fradicio e infreddolito, Ninetto finalmente uscì dalla neve, felice come non lo era stato da tempo.
«Ma tu chi sei?» chiese all’anziano signore, «Babbo Natale?»
Il vecchio rifece quella calda risata grassa ed esclamò:
«Sono troppo vecchio per essere un Babbo, al massimo posso essere Nonno Natale!» poi si tolse la sciarpona e gliela avvolse attorno al collo e alla testa.
«Sarà meglio che tu vada a casa, tutto bagnato come sei».
«E tu, cosa farai?» chiese il bambino già un po’ triste.
«Io? Verrò a trovarti domani, Ninetto»
«Mi conosce?» domandò stupito il ragazzino.
«No, ma conosco il tuo papà, il professore di filosofia».
«Sei il suo papà?» chiese Ninetto colmo di speranza.
Il vecchio fece un sorriso triste:
«No, ero il suo vecchio preside. Tuo padre mi ha parlato tanto di te, prima di trasferirsi, e io adesso voglio conoscerti meglio. Sai, abito nella casa vicino alla tua».

Il vecchio, che si chiamava Mario, mantenne la promessa e il giorno dopo si presentò da loro con un regalo per ciascuno dei cinque fratelli. Forse non è proprio un vero nonno, pensò Ninetto da quel momento, ma lo interpreta benissimo.

Nessun commento:

Posta un commento

Cerca nel blog