Nino
era un bimbetto di nove anni, piccolo e mingherlino e veloce come un topo, per
questo tutti lo chiamavano Ninetto. Era il quarto di cinque fratelli, ma era
comunque il più piccolo, perché Giuseppe, di solo un anno più giovane, era alto
e robusto. Nino, forse, assomigliava a suo padre, che però non aveva mai conosciuto.
Il padre di Giuseppe, invece, era un ambulante che veniva nel loro quartiere
due volte all’anno, per la fiera stagionale. Sua madre si era innamorata di lui
vedendolo sollevare forme di Grana come fossero cespi di insalata, tendendo le sue
braccia possenti e facendole l’occhiolino.
Sua
madre aveva un aneddoto per ognuno dei loro padri: il cantante folk che vagava
disorientato per la via con la chitarra sulla schiena, il postino dai capelli
color carota che sostituiva il vecchio Bertu quando era malato, l’allenatore
dei pulcini della squadra della grande città, fino al gracile insegnante di
filosofia che l’aveva incantata con le sue frasi incomprensibili, ed era
diventato così il padre di Ninetto.
Ninetto
era felice, ma rimpiangeva una cosa soltanto: dei nonni. Con tutti quei padri gli
sembrava impossibile non avere almeno un nonno o una nonna, soprattutto oggi,
la vigilia di Natale.
Quel
mattino Ninetto decise di uscire di casa, nonostante facesse molto freddo.
Abitava al quarto piano di un grande caseggiato, uguale a tutti gli altri della
via, e anche a quelli della via a fianco, ma lui non si sarebbe mai perso:
conosceva ogni angolo e ogni tombino come le sue tasche vuote.
L’aria
pungeva gli occhi, tant’era fredda, e Ninetto si ficcò le mani nella tasca del
giubbotto troppo grande, ereditato dal fratello. Camminò spedito fino ai giardini deserti e si
sedette su una panchina gelida.
«Cosa
fai qui, tutto solo?» chiese una voce profonda.
Ninetto
si voltò di scatto. Sulla panchina di fianco un vecchio con cappottone logoro
lo guardava sorridendo. Ninetto sorrise a sua volta:
«Aspetto
la neve» disse.
«Io
ce l’ho, la neve» commentò il vecchio con fare saputello, «vuoi vederla?».
Nonetto
era già in piedi accanto a lui, allora il vecchio si alzò faticosamente dalla
sua panchina e, ridacchiando, si incamminò verso il punto più lontano dei
giardinetti. Superarono sentierini, altalene, gruppi di alberi spogli e poi,
laggiù, in un’ampia conca, ecco una grande macchia di neve fresca, bianca e
soffice. Ninetto non credeva ai suoi occhi.
«Vuoi
tuffarti?» gli chiese il vecchio. Il bambino lo guardò con un sorriso che
occupava tutta la sua minuscola faccia.
«Allora
vai!» ordinò il vecchio, scoppiando in una grassa risata.
Quando
fu tutto fradicio e infreddolito, Ninetto finalmente uscì dalla neve, felice
come non lo era stato da tempo.
«Ma
tu chi sei?» chiese all’anziano signore, «Babbo Natale?»
Il
vecchio rifece quella calda risata grassa ed esclamò:
«Sono
troppo vecchio per essere un Babbo, al massimo posso essere Nonno Natale!» poi
si tolse la sciarpona e gliela avvolse attorno al collo e alla testa.
«Sarà
meglio che tu vada a casa, tutto bagnato come sei».
«E
tu, cosa farai?» chiese il bambino già un po’ triste.
«Io?
Verrò a trovarti domani, Ninetto»
«Mi
conosce?» domandò stupito il ragazzino.
«No,
ma conosco il tuo papà, il professore di filosofia».
«Sei
il suo papà?» chiese Ninetto colmo di speranza.
Il
vecchio fece un sorriso triste:
«No,
ero il suo vecchio preside. Tuo padre mi ha parlato tanto di te, prima di
trasferirsi, e io adesso voglio conoscerti meglio. Sai, abito nella casa vicino
alla tua».
Il
vecchio, che si chiamava Mario, mantenne la promessa e il giorno dopo si
presentò da loro con un regalo per ciascuno dei cinque fratelli. Forse non è
proprio un vero nonno, pensò Ninetto da quel momento, ma lo interpreta
benissimo.
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