Il
piccolo campanile era finalmente visibile. Dopo quasi due ore di cammino, la
chiesetta era spuntata dietro una costa rocciosa e con essa la bassa
costruzione addossata al suo fianco, come una protuberanza.
Non
era stanco, nonostante il terreno fosse gelato e avesse lasciato la strada
asfaltata almeno un’ora prima, per seguire il sentiero che si inerpicava nel
bosco. L’aria era gelida e gli sferzava il volto non appena il percorso
abbandonava gli alberi per qualche metro di radura. Il sole era tramontato già
da tempo, ma una luna piena luminosa lo accompagnava sorniona, incurante del
suo destino.
Luca
si concentrò sui suoi passi, tentando di scacciare l’amarezza; rocce
ghiacciate, foglie secche ricoperte da un leggero strato di brina, qualche
radice affiorante e scivolosa. Non era mai stato lì con Beatrice, che amava le
cime, le camminate impegnative, i rifugi d’alta quota. Nella bella stagione si
poteva arrivare con la macchina a pochi passi dallo sperone di roccia su cui la
chiesetta era stata edificata, e l’unica attrattiva era l’ampio panorama che si
vedeva da lassù, attrattiva che non riusciva a catturarla. Con lei le montagne dovevano
essere una palestra, un’avventura, talvolta una sfida.
Il
piede scivolò su un grosso sasso e Luca tornò a concentrarsi sulla meta, ormai
a poche decine di metri. Sapeva che la porta era aperta: non c’era nulla da
rubare là dentro e l’eremita che aveva abitato lì fino a qualche anno prima
aveva sempre accolto chiunque passasse, per caso o per scelta. Un po’ di pane,
un formaggio d’alpeggio e un pintone di vino non sempre favoloso diventavano
uno spuntino o una cena da condividere con lui, scambiando quattro parole
schiette, mai banali. Poi se n’era andato, chissà perché.
Aprì
la porta con una lieve spinta ed entrò, accolto da un odore di umido che non
gli dispiacque. La chiesina aveva soltanto due panche e un tavolo, con un
crocifisso formato da due rami; Luca fece un rapido segno di croce, reminiscenza
degli anni infantili, ed entrò nella stanza a fianco. La stufa in ghisa era
arrugginita, ma la legna era accatastata lì vicino, asciutta e abbondante. L’indomani
sarebbe toccato a lui ripristinare le scorte. Non faticò ad accendere il fuoco,
che prese subito vigore e diffuse un piacevole tepore nel minuscolo spazio.
Si
sedette sulla branda ed estrasse dallo zaino il pane, il salame e l’immancabile
coltellino Opinel, un pasto ben diverso da quello che aveva programmato: poche
portate gustose in un ristorante raffinato e non troppo esotico, vino corposo e
atmosfera intima, da ricordare per sempre. Beatrice avrebbe apprezzato la
semplice eleganza e sarebbe stata piacevolmente sorpresa quando lui, con molta
serietà, avrebbe estratto la scatolina di tasca e pronunciato le parole che
potevano unire i loro destini. L’inizio della loro nuova vita la notte di
Natale, la magia e l’amore, per sempre. Ma lei aveva rifiutato l’invito, con
parole gentili ma definitive, senza presagire che con quel rifiuto ne aveva
evitato un altro ben più doloroso.
Stranamente
non fu il viso della ragazza a tornargli in mente in quel momento, ma i sorrisi
dei suoi amici, che avevano organizzato la solita cena della vigilia. In quello
stesso momento stavano stappando bottiglie e ingozzandosi di lasagne, arrosto e
purè con le loro ragazze, mogli e, nel caso di Marco e Giulia, con i due bimbi
assopiti sul divano. Aveva rifiutato il loro invito ammiccando e non c’era
stato bisogno di altre parole.
Tirò
su col naso le lacrime che avevano cominciato a pungere contro le palpebre.
Forse non era stata un grande idea, venire fin quassù tutto solo, seguire
l’impulso di un attimo che lo trascinava verso una fuga dalla realtà. Per un istante,
al momento di scendere dalla macchina, ci aveva ripensato e aveva fatto dietrofront,
ma poi si era reso conto di quanto la sua compagnia potesse risultare pesante
quella sera, e aveva spento il motore. Ora,
nel buio di quella stanzetta, con il calore che cominciava a diffondersi dalla
stufa scoppiettante, Luca fu felice della sua scelta e si abbandonò ad un
pianto infantile e consolatorio.
Un
rumore lo immobilizzò. Qualcuno aveva aperto il portone della chiesina. Il
ragazzo si sfregò le mani sulla faccia e si alzò, evitando ogni rumore, ma era
una precauzione inutile: dall’altra stanza giungevano voci allegre e tonfi di
scarponi battuti sulla soglia.
Per
evitare ogni imbarazzo, Luca tossì e le voci si zittirono, poi un viso barbuto
fece capolino nella stanzina calda.
«Oh,
buonasera, e buon Natale» disse una voce profonda. «Che bello, hai acceso la
stufa. Ti dispiace?» chiese e, senza aspettare risposta, entrò e tese la mano
ruvida. Poi prese dalla tasca del giaccone una bottiglia di vino e la mise sul
tavolo vicino alla finestrella: «è per dopo, non per la messa» e si aprì in un
gran sorriso.
Luca
si alzò ancora imbambolato e seguì l’uomo, che era tornato in chiesa; di là una
piccola folla si stava radunando, in un piacevole mormorio di chiacchiere e
risate. Qualcuno gli rivolse un sorriso, ma tutti si zittirono quando l’uomo
barbuto, che nel frattempo si era tolto il giaccone, si mise dietro il tavolo.
Una ragazza intonò Venite fedeli con
una voce che a Luca parve dolcissima e tutti si unirono a lei.
Di
nuovo le lacrime tornarono a scorrere sul suo viso, ma non c’era più amarezza
in lui. Stupore, commozione, un calore che non sentiva da anni. Ascoltò le
parole che non ricordava e gli piacquero, come gli piacquero quelle del prete,
sciolte, prive della facile retorica che aveva sempre attribuito alla Chiesa.
«La
messa è finita» disse al termine della celebrazione, «ma restate tutti qui e
tirate fuori le cibarie, che facciamo un po’ di festa».
«Era
ora!» esclamò una signora robusta piazzando una torta salata, che teneva chissà dove, sull'altare. Tutti le si fecero intorno, mentre Luca, con il bicchiere di carta pieno, passava tra tutti sorridendo, nella notte di Natale più assurda e meravigliosa che avesse mai vissuto.