Sabrina Cassia legge un brano del romanzo |
“L’idea del libro è partita proprio da questo episodio, accaduto realmente ad una mia amica” racconta Giuseppe Culicchia al pubblico decisamente nutrito, radunato nella libreria La Casa dei Libri di Rivalta. “Aveva accompagnato il figlio ai giardini e un papà le aveva chiesto se era la nuova tata. Lei aveva risposto di no, che era la mamma, e il papà, stranito, le aveva detto: - Non sapevo che avesse una mamma! - Ecco, io mi sono chiesto come ci si può sentire con una risposta del genere e da lì è nata Gaia”.
“L’idea del libro è partita proprio da questo episodio, accaduto realmente ad una mia amica” racconta Giuseppe Culicchia al pubblico decisamente nutrito, radunato nella libreria La Casa dei Libri di Rivalta. “Aveva accompagnato il figlio ai giardini e un papà le aveva chiesto se era la nuova tata. Lei aveva risposto di no, che era la mamma, e il papà, stranito, le aveva detto: - Non sapevo che avesse una mamma! - Ecco, io mi sono chiesto come ci si può sentire con una risposta del genere e da lì è nata Gaia”.
Gaia
vive a Milano, ed è un insieme di tutti i cliché possibili della donna in
carriera. Segue parossisticamente la moda, frequenta i locali più fashion,
commenta con le amiche le notizie gossip e spende, soprattutto spende a piene
mani in modo compulsivo. Ma sin dalla prima pagina cominciano ad aprirsi delle
crepe nella sua vita; le prime due sono i due sms di cui sopra, la terza crepa
è la figlia Elettra.
“La
ragazzina non sa di avere dei genitori, perché loro hanno fatto di tutto per
sbarazzarsene, con corsi di teatro, rafting, tate e scuola steineriana. E’ il
tipo di vita privilegiato di chi vive in Milano centro. La città rispetto a Torino
ha una struttura diversa: il centro di Torino è ancora molto popolato, ci sono
palazzi abitati anche da un miscuglio di ceti sociali. A Milano il centro è
occupato da uffici, banche, assicurazioni, show-room”.
Culicchia
ha sempre scritto di Torino, usandola come location dei suoi romanzi, come fulcro dei suoi saggi,
addirittura come casa, nel libro Torino è
casa mia, (Laterza). Questa volta Milano era il posto giusto:
“E’
il primo libro in cui la voce narrante è quella di una donna e di un tipo di
donna che doveva abitare a Milano. Io, come tutti i torinesi abituati a vivere
nella squadrata Torino, mi perdo quando vado a Milano. Per scrivere Venere in metrò avrei dovuto abitarci
per un po’ di tempo, ma l’idea mi gettava nello sconforto. Per fortuna mi ha
aiutato un’amica, inviandomi i nomi dei locali più in”.
Gaia,
senza saperlo, sta cercando qualcosa di solido a cui aggrapparsi: il marito è
un adolescente invecchiato, l’amante le sta vicino solo finché c’è il marito,
la madre è una ex-modella che la tormenta con la linea e le diete.
“Siamo
in un ‘Italia incerta, che si è riempita di festival di ogni genere:
spiritualità, filosofia… siamo alla ricerca di risposte e speriamo che qualcuno
sul palco ci sappia spiegare” conclude lo scrittore, per lasciarsi poi
bersagliare dalle domande del pubblico.
Perché
questo genere di romanzo?
“Ho
voluto raccontare la storia di una donna che, messa in grosse difficoltà,
riesce ad uscirne fuori. Se devo immaginare qualcuno che legge il mio libro
(già mi stupisco che qualcuno legga i miei libri), penso ad una lettrice che si
arrabbi con Gaia, una che alla fine del romanzo faccia pace con lei”.
Quando
decidi che il libro è finito, che non ha più bisogno di rimaneggiamenti?
“Quando
scade il contratto. Ma ancor di più, quando il confronto con l’editor, cioè
colui o colei che ti conosce bene, che ti consiglia e ti critica in modo
costruttivo è concluso”.
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