domenica 9 agosto 2015

Barbecue

Il turista attento è quello che cerca di conoscere gli usi locali, di inspirare profondamente il profumo del luogo, anche quando sa un po’ di selvatico. Non si aggira osservando come in un museo, ma entra nel vivo del paese che lo ospita e lo comprende.
Per questo potrebbe essergli utile sapere fin da subito, se nei suoi progetti c’è una anche breve vacanza in montagna, che la parola Babercue non esiste, almeno qui sulle Alpi Cozie.
Storpiata in bàrbechiu dagli anglosassoni, che ci hanno così vendicati dei raccapriccianti Coppì, Bartalì e Nibalì del Tour de France, è entrata negli usi e costumi di popoli urbanizzati come semplice e gustoso ritorno ai primordi. Sappiatelo: è completamente falso.
Se il cacciatore-raccoglitore riuscì ad un certo punto a scoprire l’importanza del fuoco in modo totalmente casuale, e ad imparare sulla sua pellaccia l’importanza di cuocere la carne prima di ingurgitarla, non è a lui che ci si può ispirare per la graziosa e raffinata arte del barbecue. Treppiedi con le ruote, palline di carbonella acquistate al supermercato, o, peggio ancora, una postazione per la cottura a gas, grembiuli multitasche, forchettoni con rebbi differenziati e decine di salse non sono un ritorno alle origini. Quelle belle tavolate con piatti di ogni colore, tovaglie di carta e bicchieri di plastica arcobaleno avrebbero scassato di risate il più evoluto dei Neanderthaliani.
Qui da noi si fa la Grigliata.
Il nome deriva, come ben si può immaginare, dal fatto che per cuocere carne o verdure si usa una griglia di ferro: vecchi tombini, chiusini di canali di irrigazioni, o addirittura un oggetto creato su misura dal rivenditore di materiali ferrosi, basta che sia grande.
La si poggia su una pila di mattoni o di pietre squadrate e si accende il fuoco direttamente sulla terra. E qui viene il tocco di classe che soltanto uno scafato turista ha assimilato: il fuoco deve essere di vera legna, possibilmente in pezzi lunghi, magari un po’ umidi, ché fa effetto fumé sulle carni.
Sopra la griglia è possibile, anzi, consigliato, appoggiare una losa, ovvero una lastra di gneiss scartata dalla copertura di un tetto per motivi diversi, quasi sempre per irregolarità di superficie o forma; questo rende ancor più simpatica la preparazione dei cibi, con i liquidi di cottura che scorrono in rivoli sulle scarpe del cuoco o cadono sfrigolando in pittoresche scintille nelle fiamme.
Dato lo spessore e la consistenza della losa, è necessario accendere un vivo fuoco alcune ore prima di pranzo, possibilmente con la compagnia già al completo. Questo renderà fondamentale il ruolo del sommeiller di turno, che allieterà l’attesa con le sue pregiate bottiglie, rubate dalla cantina del nonno.

Al termine della grigliata, quando il sole si avvicina alle cime dei monti sbadigliando, i superstiti si accerteranno che le fiamme siano davvero spente con un rituale che certamente vede le sue origini nella notte dei tempi: la pipì sul fuoco. Per ovvi e scorretti motivi, questo rituale è ahimé appannaggio dei soli maschi, ma alcuni movimenti femministi valligiani sono all’opera per una apertura di genere. 

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