Il turista
attento è quello che cerca di conoscere gli usi locali, di inspirare profondamente
il profumo del luogo, anche quando sa un po’ di selvatico. Non si aggira
osservando come in un museo, ma entra nel vivo del paese che lo ospita e lo
comprende.
Per questo
potrebbe essergli utile sapere fin da subito, se nei suoi progetti c’è una
anche breve vacanza in montagna, che la parola Babercue non esiste, almeno qui
sulle Alpi Cozie.
Storpiata in
bàrbechiu dagli anglosassoni, che ci hanno così vendicati dei raccapriccianti
Coppì, Bartalì e Nibalì del Tour de France, è entrata negli usi e costumi di
popoli urbanizzati come semplice e gustoso ritorno ai primordi. Sappiatelo: è completamente falso.
Se il
cacciatore-raccoglitore riuscì ad un certo punto a scoprire l’importanza del
fuoco in modo totalmente casuale, e ad imparare sulla sua pellaccia
l’importanza di cuocere la carne prima di ingurgitarla, non è a lui che ci si
può ispirare per la graziosa e raffinata arte del barbecue. Treppiedi con le
ruote, palline di carbonella acquistate al supermercato, o, peggio ancora, una postazione per la cottura a gas, grembiuli multitasche, forchettoni con rebbi differenziati e decine di salse non sono un
ritorno alle origini. Quelle belle tavolate con piatti di ogni colore, tovaglie
di carta e bicchieri di plastica arcobaleno avrebbero scassato di risate il più
evoluto dei Neanderthaliani.
Qui da noi si fa
la Grigliata.
Il nome deriva,
come ben si può immaginare, dal fatto che per cuocere carne o verdure si usa
una griglia di ferro: vecchi tombini, chiusini di canali di irrigazioni, o
addirittura un oggetto creato su misura dal rivenditore di materiali ferrosi,
basta che sia grande.
La si poggia su
una pila di mattoni o di pietre squadrate e si accende il fuoco direttamente
sulla terra. E qui viene il tocco di classe che soltanto uno scafato turista ha
assimilato: il fuoco deve essere di vera legna, possibilmente in pezzi lunghi,
magari un po’ umidi, ché fa effetto fumé sulle carni.
Sopra la griglia
è possibile, anzi, consigliato, appoggiare una losa, ovvero una lastra di gneiss
scartata dalla copertura di un tetto per motivi diversi, quasi sempre per
irregolarità di superficie o forma; questo rende ancor più simpatica la preparazione
dei cibi, con i liquidi di cottura che scorrono in rivoli sulle scarpe del
cuoco o cadono sfrigolando in pittoresche scintille nelle fiamme.
Dato lo spessore
e la consistenza della losa, è necessario accendere un vivo fuoco alcune ore
prima di pranzo, possibilmente con la compagnia già al completo. Questo renderà
fondamentale il ruolo del sommeiller di turno, che allieterà l’attesa con le
sue pregiate bottiglie, rubate dalla cantina del nonno.
Al termine della
grigliata, quando il sole si avvicina alle cime dei monti sbadigliando, i
superstiti si accerteranno che le fiamme siano davvero spente con un rituale
che certamente vede le sue origini nella notte dei tempi: la pipì sul fuoco.
Per ovvi e scorretti motivi, questo rituale è ahimé appannaggio dei soli
maschi, ma alcuni movimenti femministi valligiani sono all’opera per una
apertura di genere.
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