Mi
sono chiesta in più di una occasione se fosse o meno il caso di recensire un
best seller come Hunger games; il
successo planetario della trilogia non rendeva necessarie altre parole,
soprattutto le mie. Per questo motivo non ho scritto nulla né sul primo
romanzo, né sulla Ragazza di fuoco,
il secondo volume della serie, pur avendoli letti con grande soddisfazione.
Ora,
al termine della lettura del Canto della
rivolta, sono giunta alla conclusione che, se la mia recensione riuscirà a
convincere anche solo un lettore in più, allora va fatta.
Katniss
Everdeen, la protagonista del romanzo, vive in un mondo devastato dalle guerre,
che hanno portato al potere un unico Distretto, che governa sugli altri con due
mezzi niente affatto originali: la fame e il terrore. Gli altri dodici Distretti
sono soggiogati dal primo, che sfrutta i loro abitanti e li tiene in schiavitù
con soldati denominati non senza ironia Pacificatori. La capitale, Capitol
City, è invece assurdamente ricca e gli abitanti sperperano il troppo denaro in
cure maniacali dell’apparenza estetica, così sfrontata da rasentare il
grottesco e in banchetti all’insegna dello spreco.
Nei
primi due volumi della trilogia, Katniss doveva combattere negli Hunger games,
giochi ispirati ai combattimenti tra gladiatori nei circhi romani, organizzati
per ridurre il popolo alla innocuità. Le regole sono semplici e agghiaccianti:
due ragazzi tra i dodici e i diciotto anni vengono estratti a sorte in ogni
distretto, gettati in un’arena estremamente tecnologica e obbligati a
combattere a morte, fino alla sopravvivenza di uno solo di loro, il vincitore.
I giochi degli affamati (hunger, appunto) servono a dissuadere chiunque abbia
anche solo la tentazione di alzare la testa; ma, se questo non fosse sufficiente, c’è sempre l’esempio del
tredicesimo distretto, che aveva tentato di ribellarsi, a cui è toccato il
destino della distruzione totale.
Già
nel primo episodio la ragazza dà segni di ribellione, obbligando il presidente
Snow, dittatore crudele ed astutissimo, a tenerla sotto stretto controllo. Ma è
nel secondo volume che Katniss mostra i veri segni di quella che potrebbe
essere una catastrofe per la dittatura, incrinando le sicurezze di una classe
agiatissima e sfruttatrice, fatta di pochi diabolici strateghi e di una
moltitudine di frivoli modaioli.
Così
nel Canto della rivolta la coraggiosa
e scorbutica guerriera dovrà affrontare il vero nemico. Devastata dalle
orribili esperienze passate, che le provocano continui incubi, Katniss
impersona a fatica il ruolo di guida come Ghiandaia Imitatrice (un uccellino il
cui canto è divenuto simbolo dei ribelli), ma anche quello di “ragazza
immagine”, gettata davanti alle telecamere per propaganda politica.
Il
suo mondo è distrutto e il suo desiderio di vendetta sembra pilotato, da chi la
vuole portare in trionfo come dai suoi avversari, che sembrano conoscere ogni
sua mossa. Peeta, il compagno di lotta, è nelle mani dei nemici, che potrebbero
usarlo per ricattarla o distruggerla, Gale, il suo più caro amico, cerca di capire
cosa provi veramente, di penetrarne la scorza e aiutarla a ritrovare la
serenità.
Ma
la guerra è iniziata e non c’è più tempo per i problemi di cuore. I ribelli
combattono contro un esercito potentissimo, comandato da un presidente subdolo
e disposto a tutto. Katniss viene più volte ferita gravemente, ma nei suoi
lunghi percorsi verso la guarigione scopriamo, grazie alle riflessioni che la
protagonista compie in prima persona, tutti i suoi dubbi.
La
morte di tante persone è un prezzo adeguato per la libertà? È giusto proteggere
chi si ama più di tante altre persone? E la domanda che dalla Fattoria degli animali di George Orwell
in poi percorre gli ambienti della politica: quando si è in cima alla scala del
potere, è ancora così semplice capire cosa è bene e cosa è male?
Suzanne Collins rende un tema attuale e
estremamente profondo un piacere per i lettori, contagiando tanti giovani e
portandoli, per mezzo della fantascienza e della fantapolitica, alla
riflessione.
La
Ghiandaia Imitatrice non è più un semplice personaggio, è un emblema, un
esempio da imitare. Ne sono la prova concreta i ragazzi tailandesi, che hanno
assunto il saluto a tre dita di Katniss e di ribelli come gesto di
riconoscimento e protesta.
"Stiamo
monitorando coloro che utilizzano questo saluto ma al momento ancora non è
stato bandito" ha detto il portavoce della giunta militare Winthai Suvaree
alla Reuters "in caso però di raggruppamento di cinque persone o più
potremo compiere degli arresti".
E' successo in Thailandia. A finire in manette, cinque studenti, fermati dalla polizia per una contestazione ispirata proprio ai film con protagonista Jennifer Lawrence, messa in atto durante un discorso del primo ministro Prayuth Chan-Ocha, che guida la giunta militare dopo il golpe dello scorso maggio. I giovani sono riusciti a radunarsi sotto il palco dove parlava Prayuth, esibendo il saluto a tre dita che nel film simboleggia - appunto - la resistenza alla dittatura.
E' successo in Thailandia. A finire in manette, cinque studenti, fermati dalla polizia per una contestazione ispirata proprio ai film con protagonista Jennifer Lawrence, messa in atto durante un discorso del primo ministro Prayuth Chan-Ocha, che guida la giunta militare dopo il golpe dello scorso maggio. I giovani sono riusciti a radunarsi sotto il palco dove parlava Prayuth, esibendo il saluto a tre dita che nel film simboleggia - appunto - la resistenza alla dittatura.
Il
fatto che i molti personaggi che affiancano la nostra protagonista abitino un
mondo fantascientifico non rende tutto questo meno vivificante: la speranza che
i giovani sappiano reagire e manifestare il loro dissenso è finalmente una
speranza per tutti.
E
forse anche nella nostra indifferente Italia i giovani cominceranno ad alzare
le braccia in una selva di mani con tre dita bene in vista.
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