domenica 8 febbraio 2015

Nick Hornby, Funny girl, Guanda

Siamo nei favolosi anni Sessanta e l’Inghilterra sta per vivere la rivoluzione culturale più calda e ottimista del secolo. La gente si ripete che il mondo sta cambiando e, sebbene sia una delle fasi fatte più ritrite e prive di significato, è davvero così. I giovani annusano nell’aria qualcosa di diverso e osano pensare e progettare con un coraggio mai provato in precedenza.
Barbara è uno di questi giovani, curiosa di esplorare nuovi orizzonti fuori dal paese di Blackpool, fuori dal suo provincialismo e soprattutto lontano da suo padre, soffocante e tetro (“un ciccione di quarantasette anni, vecchio prima di averne diritto”), che però è tutta la sua famiglia, da quando la madre è scappata di casa.  
La grande aspirazione di Barbara è far ridere la gente: vuole diventare un’attrice comica come Lucille Ball. Per questo lascia la corona di Miss Blackpool alla seconda classificata e corre a Londra.
Mini-appartamento in subaffitto, posto da commessa nei grandi magazzini e provini a raffica sembrano la strada giusta per iniziare una carriera (a parte una deviazione verso una relazione con un ricco uomo sposato, morta prima ancora di nascere).
Poi capita uno di quegli eventi che possono far credere ai miracoli o alla semplice ironia della sorte: un provino di fronte agli stessi sceneggiatori, che cominciano ad intravvedere, sopra un seno prosperoso e sotto una soffice chioma bionda, un bel cervello da attrice.
È l’inizio della fortunata sitcom Barbara (e Jim), dove Barbara, che tutti credono si chiami Sophie, frizzante ragazzotta di provincia, cerca di portare avanti il matrimonio col banale e molto intellettuale Jim, ficcandosi in cento situazioni esilaranti.
Lungo i venticinque capitoli del romanzo, Nick Hornby ci fa incontrare attori colmi di sé, produttori e agenti alle prese con matrimoni complessi, giornaliste in carriera, femmes fatales, anziani nostalgici e incompresi, per creare una trama in cui personaggi reali e invenzioni di fantasia si uniscono senza attriti. Protagonisti di questa vicenda sono cinque personaggi che vivono gomito a gomito per tutta la durata del libro, creando una serie di scene che a loro volta sembrano episodi di una situation comedy.

In questi anni di scoramento e paura del domani, il grande romanziere ci ridona entusiasmo per le piccole vittorie, mostrandoci un mondo che non esiste più: quello della televisione di famiglia, in cui tutti si riunivano per vedere la stessa trasmissione e la vivevano come una seconda realtà. Un mondo dove già si affacciavano grandi domande sulla importanza della televisione come mezzo per diffondere la cultura, e se fosse possibile far coincidere cultura e intrattenimento, senza svilire il palinsesto dei programmi.
Con Funny girl Hornby affronta, con la consueta ironia e con apparente leggerezza, temi che meritano certamente una riflessione: l’audience come schiavitù per i produttori, la differenza tra cultura alta del romanzo sociale e la cultura bassa della commedia, e infine il tema fondamentale della rivoluzione sessuale.
Nel corso della lettura, tra dialoghi trascinanti e battute di sano umorismo, affiora la domanda: possibile che ancora nel 1966 fosse un reato l’omosessualità in Inghilterra? Possibile che un’attrice splendida e brava dovesse chiedersi se fosse giusto considerarsi “un premio da offrire malvolentieri”?
La risposta potrà causare soltanto una seconda domanda, ben più terribile: possibile che, almeno in Italia, dopo cinquant’anni siamo ancora fermi lì? 

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