Avevo in casa
ormai da molti mesi il libro Zorobabel,
volume di Memorie del pittore
Alessandri curato dalla professoressa Concetta Leto. Lo tenevo in un luogo
privilegiato del salotto, pronto ad ogni consultazione, impulsiva o ponderata,
fulminea, come cedendo ad un capriccio, o lenta, per gustare con la giusta
calma più brani. Al suo fianco il meraviglioso Hotel Surfanta, il volume di Skira che contiene le trentatré Camere o Interni, pitture realizzate dall’artista negli anni Ottanta,
anch’esso curato dalla Leto in modo “fedele il più possibile al menabò delle
Camere lasciatoci da Alessandri”.
Mi capitava,
così, di aprire a caso l’uno o l’altro; di osservare i magnifici dipinti o di
leggere brani degli scritti che il pittore annotava, con rigorosa attenzione,
quasi ogni giorno, creando nella mia mente un’immagine di lui che andava via
via chiarendosi.
La mia lettura
disomogenea, istintiva, che potrebbe sembrare superficiale, non è però del
tutto da condannare: gli scritti stessi sembrano adattarvisi senza problemi.
Come spiega la curatrice nella prefazione: “Pensieri e sentimenti si susseguono
ricostruendo un profilo di un’anima vissuta con il desiderio di donarsi
completamente all’arte”.
Terminata la
lettura non credo di aver completato l’immagine di Alessandri, né credo sia
possibile a nessuno come non lo è stato forse neanche per lui, ma posso dire di
conoscerlo meglio, grazie alla sua scrittura. La figura di questo artista
stravagante, misterioso, si andava per me svelando senza perdere in alcun modo
parte del fascino che i suoi dipinti provocano in chi li ammira: conoscevo i
suoi quadri inquietanti, in cui mostri orrendi vengono affiancati a splendide
ragazze nude; dove architetture fatiscenti o rovine fanno da sfondo a sabba
infernali, arricchiti da simboli esoterici o da personaggi deformi con
espressioni grottesche. Questo era ciò che conoscevo del pittore Alessandri;
ben poco, ora che Concetta Leto mi ha mostrato, con Zorobabel, il vero volto dell’artista.
Così ho deciso
di scriverne una recensione. Ma il mio campo è la narrativa, la mia materia sono
il romanzo e il racconto; dunque perché uno scritto di memorie? Perché non c’è
nulla di più narrativo della vita stessa. Un uomo nasce e vive e nella sua
esistenza si dipanano, per quanto banale e monotona possa essere, mille trame.
Incontrerà personaggi, vivrà passioni, supererà ostacoli o da esso verrà
sopraffatto. Allora quanto può esserci di più narrativo del diario di un uomo
la cui vita è stata ricchissima ed affascinante?
Molto si è
detto su Lorenzo Alessandri, sui lati oscuri, misteriosi della sua esistenza.
Vivendo nel suo stesso paese, avendolo conosciuto, sebbene in modo estremamente
superficiale, ho potuto vedere il personaggio attraverso lo sguardo sospettoso
della gente, che lo ha trasformato in un satanista bizzarro e, forse,
pericoloso.
Certamente
egli stesso aveva creato attorno a sé, fin dagli anni della Soffitta Macabra, nella quale si riuniva
con gli intellettuali suoi amici, un alone misterioso. L’amore per l’esoterismo,
per la spiritualità orientale, unito alle sensazioni forti che le deformità
umane o dei mostri da lui creati procurano a chi osserva i suoi dipinti, lo
hanno fomentato.
Era un uomo
curioso e interessato a tutto ciò che è strano; la sua intelligenza aperta e
vivacissima era costretta nei dogmi di una famiglia tradizionalista. Il
desiderio di evasione e di scoperta era fortissimo: “Tutti cercavamo qualcosa e
tutti qualcosa trovammo” scrive di quei primi anni di incontri nella Soffitta Macabra.
Il grottesco,
l’esoterico, il misterioso, ma anche il misticismo e l’ascesi sono le spinte
che hanno contribuito a fare dell’ uomo
un personaggio, una leggenda, a cui
la sua arte sottostava, ma sempre senza perdere di vista la dignità umana e la
compassione.
“Oggi ho letto
un articolo sul Cottolengo” scrive il 25 maggio 1950. “E’ disastroso nella mia
anima constatare che io non ho mai fatto niente per i mostri umani, per quegli
stessi mostri umani che tanto eccitano la mia fantasia e che disegno con grande
passione […]. Devo rinunciare a disegnare sinceramente i miei mostri perché da
oggi mi sono imposto un debito di riconoscenza e di amore per questi esseri
disgraziati”.
Concetta Leto
ha dedicato molti anni ed enormi energie a raccogliere e selezionare materiale
per questo volume con l’intento di scoprire il vero volto di Alessandri. Quel
che ne emerge è il ritratto di un uomo originale e bizzarro, che amava con
tutto se stesso la luna, che adorava la notte, la musica. Un uomo che credeva
nell’amicizia e nella collaborazione: in diverse occasioni cercò di riunire gli
artisti torinesi, con sodalizi intellettuali, luoghi di incontro e
manifestazioni collettive, perché con il loro lavoro potessero arricchire reciprocamente
le diverse esperienze. Talvolta prevalse l’individualismo, ma in altri casi il
suo carisma agì da catalizzatore, come nel gruppo artistico Surfanta, nel quale radunò artisti suoi
coetanei, come l’amico Abacuc.
Grazie ai suoi
scritti, scopriamo che quel che noi consideravamo un lato oscuro era invece
fonte di stupore e di divertimento, grazie al suo brillante intelletto e al suo
spiccato senso dell’umorismo, che rende la sua stravaganza ancor più
affascinante.
Nelle pagine
di Zorobabel incontriamo insomma un
artista vivace e generoso, per cui la vita era una continua scoperta; un
maestro che non temeva i confronti e voleva vivere nella pienezza.
Nessun commento:
Posta un commento