mercoledì 14 maggio 2014

Enrico Camanni, Il viaggio verticale, Ediciclo editore

E’ un libro intimo questo Viaggio verticale, l’ultimo pubblicato da Enrico Camanni, ed è il primo che lo veda, in un modo o nell’altro, protagonista. Durante la sua lunga carriera di giornalista e scrittore, ha seguito nei suoi innumerevoli articoli, editoriali e libri un unico filo rosso: la montagna.
Alpinista appassionato fin da bambino, nel 1977, a vent’anni, era già caporedattore della Rivista della montagna e da allora non ha mai messo da parte la penna o le scarpette, cementando un’unione duratura e in continua evoluzione tra la scrittura e l’arrampicata.
Camanni parla al pubblico attento nella splendida
cornice del Giardino delle Donne ad Avigliana.
Alle spalle il banchetto della Casa dei Libri
e di Trekking Sport.
17/5/14
Cronaca, storia, biografia, romanzo: la montagna è stata spunto, materia viva o scenario dei suoi servizi giornalistici come dei suoi libri. Mai però come in Viaggio verticale la montagna era stata rappresentata da Camanni in modo così personale, così profondo.
In questi trentatré brevi capitoli, che non seguono una cronologia o una logica di causa effetto, possiamo leggervi una sorta di diario, un quaderno di riflessioni, uno zibaldone di pensieri che in modo apparentemente casuale ci guida verso le profondità dell’amore per l’arrampicata.
“Chi non ha mai sentito il bisogno di scalare un albero non è mai stato bambino” dice all’inizio di uno di questi. Il desiderio di salire, di affrontare il vuoto in contrasto con la paura e il controllo, è uno dei temi-guida che l’autore affronta: la paura di cadere o il terrore inconscio dell’abisso che si apre sotto i piedi dello scalatore si uniscono in modo indissolubile all’euforia che la stessa vertigine causa. Il distacco mentale che la parete crea in chi la affronta trascina in una “realtà separata”, nell’incanto di entrare in un mondo senza tempo, dove le dimensioni acquistano un valore astratto e magico. Un incantesimo che finisce al momento stesso in cui il piede torna a contato con il piano e le mani non servono più per camminare.
“Dopo l’ultimo strappo toccammo il colle e finalmente ci arrampicammo sulla montagna” racconta nel capitolo Vertigine, osservando la salita con gli occhi di se stesso bambino. “Fu così che fiutai il fetore del vuoto” e noi, leggendo le sue parole sentiamo la stessa paura, la stessa impotenza contro una forza che non possiamo vincere che con la ragione.
Cosa ci spinge dunque a salire? E’ la domanda che nel corso di tutto il libro viene posta al lettore attraverso le imprese di mostri sacri dell’arrampicata, o dell’autore stesso o, in un gioco letterario, da chi prima di lui ha voluto cercare una risposta: Buzzati e la ricerca delle illusioni, Hermann Hesse e il contrasto tra la vera vita di Boccadoro e la meditazione interiore e statica di Narciso.
Camanni gioca con la letteratura, assorbe le immagini e i pensieri dei grandi autori che di montagna hanno vissuto e narrato, o trasferisce i propri pensieri nei personaggi da lui stesso creati, plasmandoli con i suoi desideri e creando episodi che non conoscevamo ancora.
In modo leggero e senza strappi entriamo nel mondo dei grandi scalatori del passato, nello spirito di sacrificio ed eroismo che li guidava; li osserviamo con lo sguardo disincantato degli arrampicatori del Nuovo Mattino, per cui scalare era divertimento e non sfida. Ma in ognuna di queste pagine il vero protagonista è Enrico, perché è attraverso le sue parole che anche noi lettori possiamo vivere le età dell’arrampicata e sentirne il fascino cangiante: i rami di un albero attirano il bambino che vuole salirvi, le altezze dei muri, degli scogli e dei massi erratici tentano il ragazzino; il giovane vuole conoscere l’ebbrezza della sfida e della vertigine, per scoprire, una volta raggiunta la maturità degli anni, la grandezza degli spazi e la spiritualità dell’ascesa.
Un vero piacere, per me, leggere un brano del
Viaggio verticale davanti al pubblico



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