sabato 27 luglio 2013

Campo da calcio


Alex sedeva sulla panchina di formica verde, con le mani pizzicate sotto le gambette esili, quasi temesse di vederle muovere di loro volontà. Teneva il viso abbassato, ma lo sguardo, che pareva fisso sul pavimento, era invece puntato verso l’alto, su quel volto che amava e temeva allo stesso tempo, da cui adesso uscivano parole che non avrebbe voluto sentire.
- Lo sapevamo che sarebbe successo – diceva la voce tonante di fronte a lui, - è inutile che ce ne stiamo lì a frignare. –
Alexandru si chiedeva spesso perché dicesse “stiamo”, “corriamo”, “saltiamo” quando invece lui se ne stava lì, ben piantato su quei piedi poderosi.
- La ditta che deve curare il prato è troppo cara – spiegò con un tono più dolce l’allenatore. -  Ogni due settimane devono tagliare l’erba, raccoglierla e portarla all’eco-centro. Son cose che costano, sai. –
A chi stesse dicendo “sai” non era chiaro, ma ogni bambino seduto su quella panca appiccicosa pensava che si stesse rivolgendo proprio a lui.
Come in partita: - Dai, corri! – urlava gonfiando il collo come un rospo, con le vene gonfie e la faccia rossa che pareva scoppiare. E tutti correvano, convinti che stesse parlando ad ognuno di loro.
- E così tra tre giorni  quei palloni gonfiati dei neri-viola prenderanno il campo in gestione - concluse sputando per terra, e anche se suo padre gli diceva sempre che proprio non si deve fare, avrebbe sputato volentieri anche lui.
- Su, alzate quelle chiappette secche – stava dicendo ora, - e smettetela di fare i bambini – ma questa volta la sua voce non penetrava nei timpani come un martello e i suoi occhi si erano piegati all’ingiù, tanto che ad Alex venne voglia di piangere.
Invece si alzò, con gli altri ragazzini della squadra, e pensò che, forse, correndo ancora una volta dietro al pallone di cuoio si sarebbe sentito bene. L’ultima volta.
I ragazzini cominciarono a saltellare verso l’uscita, cercando di non vedere il loro idolo che si strofinava la faccia con quelle mani callose e gigantesche.
- Se penso che mio cognato deve pagare per portare le vacche al pascolo, mi viene una rabbia… -
Si fermò di colpo, le mani ancora aperte davanti al viso.
- Le vacche! – esclamò, e con un “cominciate con i giri del campo” corse via. 

Certo, qualche volta sul prato ci sono macchie scure che forse è meglio non calpestare, soprattutto quando piove, e ci sono dei giorni in cui devono rimanere lì in panchina, ad aspettare che le vacche escano con tutta calma dal campo e vengano riportate nella loro
stalla per la mungitura. Ma ormai sono due mesi che Alexandru viene agli allenamenti, dopo quella che pensava sarebbe stata l’ultima volta.
E qualche pomeriggio, con l’allenatore, resta anche suo cognato, un’ala formidabile della sua squadra di borgata, negli anni Ottanta.
L’unico problema sono i due giorni di chiusura durante l’estate, quando le bestie sono in “villeggiatura” in montagna. Allora, bisogna aspettare che il fieno asciughi, prima di raccoglierlo nelle rotoballe.
Ma va bene così.

 

 

 

 

Nessun commento:

Posta un commento

Cerca nel blog