mercoledì 15 luglio 2015

Sette spose per sette fratelli

Sono certa che, tra le migliaia di dibattiti che ogni giorno ci vengono propinati dai media, ce ne sia stato almeno uno su Sette spose per sette fratelli. Una colonna sonora da Oscar (lo vinse nel ’55), ma cosa sarebbe stata senza la possente voce di Howard Keel? Meravigliosa sceneggiatura da musical, ma vuoi mettere le coreografie? E i ballerini? Ma che dico ballerini, acrobati! Piroettano, volteggiano e intanto riescono anche a cantare e spaccare legna. Sento le voci degli opinionisti farsi via via più stridule e fastidiose, nell’accapigliarsi a botte di citazioni: il ratto delle Sabine da Plutarco, i nomi presi in ordine alfabetico dalla Bibbia, la rissa danzata, la valanga, il matrimonio col fucile… e la casa in pietra, direi io. Quella splendida fasulla costruzione di montagna, con la neve in polistirolo e i fiocchi inseriti in sovraimpressione; con i fiori a primavera, la staccionata e la vasca dei maiali che non puzzano, almeno a giudicare dalle espressioni sognanti della coppia che li foraggia.
Sono cresciuta in un alloggio (non appartamento, sia chiaro) del centro del paese, con un sacco di stanze e scale, una in fila all’altra senza corridoio. Era una meraviglia giocare agli invisibili con i miei fratelli, ovvero cercar di percorrere tutte le stanze, le scale, i terrazzini esterni e il minuscolo cortile senza mai incontrarci tra noi. Non sentivo la mancanza di un prato o di un bosco, avendone a bizzeffe a pochi minuti da casa e nelle illustrazioni dei libri di fiabe che divoravo.
Poi vidi quel dannato film, quella baita in robuste travi di legno, con la cucina lurida, con tanto di gallina razzolante sul tavolo; una casa che pian piano si trasforma, fino a diventare calda e accogliente. La putrida cucina assurge a rustica sala da ballo e le stanze da letto si trasformano in alcove da sogno. Ecco, lì ho cominciato a desiderare anch’io un taglialegna, magari meno farabutto di Adamo e con un ciuffo di capelli meno raccapricciante di quello dei suoi sei fratelli.
Ah, come avrei voluto, nei miei altalenanti sogni di ragazzina, un uomo che maneggia l’accetta come una piuma e che sa piantare chiodi zampettando su assi d’equilibrio a tre metri dal suolo. E poi vuoi mettere una bella litigata sul talamo nuziale? Chi non perdonerebbe Adamo Pontipee  che, per non mostrarsi rifiutato ai fratelli curiosi, sguscia dalla finestra e si accomoda sul ramo di un albero?
Da quella volta ho sognato di avere una casa tra gli alberi, galline razzolanti, neve (e tanta) in inverno e un nerboruto boscaiolo con il quale litigare. E fare pace.
Eccolo il mio albero, finalmente: un noce alto almeno quindici metri, con i rami ancora un po’ distanti, ma ben motivati ad avvicinarsi alla finestra, almeno in vista di una sonora, spettacolare litigata con mio marito. 

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