Ai tempi
dell’università, quando Palazzo Nuovo non era stato ancora bonificato e
l’amianto si disgregava serafico senza che nessuno se ne preoccupasse, mi
capitava che qualche compagno di studi mi chiedesse dove abitavo. Non sovente,
comunque; non era facile approfondire l’amicizia alle lezioni dell’aula magna
di Lettere, dove, se ti andava bene, ricapitavi a fianco dello stesso studente
dopo due o tre mesi di lezione. Eppure qualche coraggioso ci provava. Io, ad
esempio, che riconosco i lineamenti anche dopo anni, salutavo da amicona
sconosciuti e sconosciute sperando in una frequentazione.
Così, dopo
qualche frase di circostanza, poteva arrivare la fatidica domanda:
«E tu dove
abiti?».
Adesso, che la
polvere di molti anni si è depositata sulle mie spalle, so che nella risposta
doveva comparire una via o un corso di Torino. Ma allora, nella giuliva
innocenza dei miei vent’anni, pronunciavo serafica il nome del mio paese.
Ricordo ancora
con tenerezza l’espressione attonita del malcapitato compagno di studi:
«Ma allora vivi
in montagna!»
«Be’, montagna-montagna no, almeno non esattamente» spiegavo, tentando si salvare l’ancora non
nata amicizia.
«Cacchio»
esclamava, incerto se ridere o compatirmi. «Ma quanto ci metti a venire giù?» immaginandomi
probabilmente sull’uscio di una baita in pietra, intenta a salutare con la mano
un vecchio dalla barba bianca circondato di caprette.
«Oh, non molto»
mentivo e cambiavo argomento, facendo capire che, anche in mezzo alle nevi e
stelle alpine, si poteva leggere La bustina
di minerva di Umberto Eco ogni settimana ed avere un’opinione politica
quasi all’avanguardia.
Quello che
evitavo rigorosamente era di dire che a me piaceva abitare in montagna, e molto,
e che le due ore nette di trasporti pubblici e camminata che mi occorrevano
ogni giorno per andare, pardon, venire a Torino non erano niente in paragone ai
dieci minuti che mi separavano dalle passeggiate nei boschi.
Mi rendevo conto,
però, e lo faccio tuttora, che il mondo della città e il mondo della montagna
restano spesso separati da un muro invalicabile: mille opportunità per uscire
alla sera, mille incontri culturali in cambio di strade in salita e funghi da
raccogliere? Chi potrebbe preferirlo?
Molti, se si pone
la domanda nei termini corretti. Chiedereste a Briatore di scegliere tra una
cena con Fabiola Gianotti e una con Belen Rodriguez? Eppure molti baldi
giovani di mia conoscenza potrebbero stupirvi con la loro risposta.
Amare la città è
facile: i portici monumentali, le vetrine opulente, le chiese barocche eppure
suggestive, il finto Borgo medievale, il Museo egizio, il Circolo dei lettori,
e poi le bancarelle, i mille concerti per tutti i gusti e tutti i portafogli, i
pub, i locali etnici, gli aperitivi e le cene in trattoria, gli chef rinomati. Ma…
sì, lo sapevate fin dall’inizio di questo elenco che ci sarebbe stato un “ma”,
ed anche uno importante. Perché vivere in montagna è favoloso e richiede anche
un po’ di pazzia, tanto che io, mio marito e i miei figli, dopo averlo sognato
per tanti anni, siamo riusciti a realizzare questa fantasia e due settimane fa ci
siamo trasferiti in una casa a 901 metri sul livello del mare.
Spero, con questa
mia nuova e un po’ folle rubrica, di riuscire a contagiarvi e
di trasmettervi parte del grande fascino che sento.
Possibilmente
facendovi ridere un po’.
Bello! Anch'io spesso mi sento dilaniata (forse è un'espressione un po' esagerata...) tra il fascino della città e quello della montagna, e a tutt'oggi non sarei in grado di decidere. per fortuna non mi trovo nell'urgenza di doverlo fare. E dunque complimenti a voi che avete avuto il coraggio di andare"sempre più in alto!" ; sicuramente ne sarete ripagati. Un abbraccio
RispondiEliminaDaniela Negro