Ma
cos’è questa violenza inaudita, allevata al buio delle pareti di case
apparentemente felici? Perché tra i membri di famiglie che mostrano un volto,
se non proprio sereno, almeno rassegnato nasce un impulso ad uccidere?
La
violenza cresce lentamente, la follia è difesa da un dolore troppo grande, che
il tempo non riesce a sconfiggere. Ma il gesto è improvviso, l’arma quella che
si trova in casa, a portata di mano; non ci sono premeditazione o calcolo.
Attuarlo non è la realizzazione di un progetto, ma la liberazione di una parte
di sé che non si vuole, che si detesta e che si vede proiettata in chi ci sta
accanto.
Ascoltando
alla radio queste notizie si scuote la testa, si abbassano gli angoli della
bocca, ci si chiede come è potuto accadere. Ma la vera, profonda domanda è:
perché noi, che viviamo fianco a fianco, che incontriamo i figli, le mogli, i
mariti di questi potenziali omicidi, non facciamo niente per evitarlo?
Troppo
comoda la risposta “Non lo sapevo”, conoscere non significa venire informati,
significa cercare. “Se non chiedi, non sai”, canta Caparezza, il
poeta-filosofo.
Cercare
tra le rughe di un volto pallido, tra i tremori delle sue mani, lo sfuggire dei
suoi sguardi. Cercare significa leggere i post di facebook, anche se non fanno ridere, anche se sembrano protagonismo
imbarazzante. Significa leggere tra le pagine del diario scolastico non i
risultati apparenti, la misura della preparazione che sembrano darci i voti, ma
l’infelicità di un figlio diviso tra giorni, weekend, amici e fidanzati dei
genitori.
Forse
significa amare?
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