Ruota tutto attorno alla figura di Corso Bramard questo profondo e coinvolgente poliziesco di Davide Longo.
Corso,
che deve il nome ad uno strano patto stipulato tra il padre e lo zio in tempo
di guerra, è il protagonista assoluto di tutta la vicenda: è il commissario che
vent’anni prima aveva indagato sul caso del killer delle ragazze; è a lui che
il killer aveva rapito la moglie e la figlia, costringendolo, devastato e
sconfitto, a lasciare la polizia. Ed è ancora Corso a riaprire ora le indagini,
mai chiuse nella sua mente, grazie ad uno strano indizio riapparso dal passato
che la scientifica non riesce a spiegare.
Eppure
ben poco sappiamo del suo aspetto fisico, se non per qualche accenno lasciato
cadere qua e là quasi per caso dall’autore. Anche la sua mente è un mistero,
che lentamente si rivela, non a cerchi concentrici, ma a tasselli, in un puzzle
che il lettore ricostruisce negli stessi istanti in cui si ricompone, pian
piano, l’intricato caso di omicidi seriali.
Fin
dalle prime pagine scopriamo che è un solitario e che soffre di insonnia, ma
non se ne lamenta e usa le lunghe veglie notturne per riflettere, per leggere e
vivere i classici della letteratura, o per salire su una parete di roccia,
ascoltando i richiami familiari degli animali notturni. Scopriamo che nella sua
vita ci sono poche, pochissime persone importanti e che una di queste è Cesare,
l’anziano e schietto proprietario di un bar-trattoria sulle colline piemontesi.
L’altra è una collega, che tenta di scuoterlo dall’apatia, senza soffrirne
troppo; è un’insegnante, come lo è Corso, che, abbandonata la polizia, ha
scelto la strada più semplice dell’insegnamento ed è diventato professore di
Italiano e Storia, in una scuola di provincia.
E
poi c’è Elena, che ha lasciato in Romania un marito e una speranza, quest’ultima
svanita con il primo e i soldi che lei gli mandava per la loro futura casa.
E’
una vita sospesa, quella dell’ex- commissario più giovane d’Italia, che sembra soltanto
sopravvivere, in attesa di qualcosa o semplicemente di cadere da una parete,
verso l’azzurro lunare del
cielo. Eppure sa che c’è ancora un
compito da portare a termine, uno scopo per quei suoi giorni apparentemente
tutti uguali, e che forse, una volta raggiunto, ci sarà qualcosa a dare un
nuovo senso alla sua esistenza.
Nella
sua indagine, naturalmente ufficiosa, non avendo più le credenziali necessarie
per portarla avanti, lo accompagnano il commissario Arcadipane, tozzo e sgraziato
quanto acuto d’ingegno, e Isa, una poliziotta scontrosa che nessuno vuole come
collega.
Davide
Longo ci accompagna in questa ricerca del suo protagonista con una prosa
accurata e coinvolgente, arricchendo le frasi, in apparenza lineari, di
sensazioni; affianca al protagonista Bramard personaggi talvolta appena
accennati eppure memorabili, come l’affascinante Madame Gina, o come il viscido
Forestale che “teneva la brace della sigaretta nascosta nel cavo della mano,
anche se non erano sul ponte di una nave e non c’era un filo di vento”.
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