mercoledì 25 giugno 2014

Fabio Geda, Se la vita che salvi è la tua, Einaudi

E’ un inizio dolente, quello con cui Fabio Geda ci porta nella vita di Andrea Luna, il protagonista del suo ultimo romanzo.
Andrea corre per le vie della città: scarta passanti, schiva automobili, suscita per brevi attimi lo stupore di chi, ignaro del motivo che lo spinge a correre, lo osserva saettare fulmineo. L’abbigliamento è quello giusto, pantaloncini e felpa grigia, ma la velocità è irreale, Andrea corre “come per salvarsi la vita”. Senza riflettere ma soltanto percependo lontane sensazioni, l’uomo si getta come una furia in un ospedale, reparto ginecologia. Sua moglie, in una solitaria stanza, lo aspetta, furibonda e disperata: ha perso il loro bambino, da sola.
Da quel momento il dolore si insinua tra loro, rendendo la donna silenziosa e apatica, facendo capire all’uomo che questa è una pena che egli non può sanare, ma può soltanto osservare, assistendo all’isolarsi di quella che pensava la compagna della sua vita.
Un momento della mia presentazione
 alla Casa dei libri
Poi, com’è improvvisamente arrivato, così il dolore si attutisce. Agnese torna alla vita, dedicandosi con impegno accresciuto al suo lavoro e sottolineando così la disparità sociale con il marito, supplente saltuario di Arte e Disegno.
Con partecipazione conosciamo pian piano le delusioni e le sconfitte di Andrea, provando una compassione che ci fa approvare le sue scelte, anche se apparentemente assurde. Così siamo dalla sua parte quando decide di andare a New York, con la motivazione apparente di visitare la mostra “Dutch Golden Age”, ma invece per provare a rivivere quella che era stata la sua esperienza più libera di giovane laureato. L’aperta disapprovazione di Agnese, con il suo rinfacciare la misere entrate economiche del marito, ci sembra una prova di forza che lei deve perdere.
Andrea fugge nella Grande Mela, vive una fascinazione estatica davanti al Ritorno del figliol prodigo di Rembrandt che lo porta a riflettere su se stesso, sul suo essere più simile al fratello maggiore, ingiustamente messo da parte dal pentimento del minore.
Dunque, quando Andrea, quasi per caso, non sale sull’aereo di ritorno, non riusciamo a condannarlo e ancora lo accompagniamo con complicità all’ostello, per un’altra settimana di riflessione, forse di ossessione.
Poi il ritmo accelera e l’uomo che non è riuscito a divenire padre si lascia andare all’apatia totale, all’indifferenza per tutto ciò che lo circonda e per ciò che egli stesso è. Il percorso si fa complesso, la coscienza di Andrea non ci pare più così limpida e cerchiamo di comprendere, attraverso i suoi gesti, quale sia la spinta che lo muove, con l’angosciante sospetto che non ci sia nulla. 


Narrato in terza persona al tempo presente, il romanzo cattura fin dalle prime righe, impedendo al lettore di lasciare Andrea al suo destino.  I cento personaggi che lo affiancano, così sfaccettati nella loro varia umanità, sono l’unico contatto che il lettore ha con un protagonista difficile da disegnare, eppure così simile ad ognuno di noi, nelle sue contraddizioni, nel suo alternarsi di sensi di colpa e vittimismi. La sua vera vita, quella che fin dal titolo sappiamo che egli dovrà salvare, fiorirà solo nelle difficoltà, nel superamento di ostacoli.
Sostenuta da una prosa di alto livello stilistico, la trama si contorce lungo le sensazioni e gli incontri di Andrea, trascinando il lettore nei quartieri poveri di New York, mostrandogli una nuova visione dell’immigrazione clandestina: quella in cui gli immigrati siamo noi.
Fabio firma la prima copia ancor prima della presentazione


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