E’
un inizio dolente, quello con cui Fabio Geda ci porta nella vita di Andrea
Luna, il protagonista del suo ultimo romanzo.
Andrea
corre per le vie della città: scarta passanti, schiva automobili, suscita per
brevi attimi lo stupore di chi, ignaro del motivo che lo spinge a correre, lo
osserva saettare fulmineo. L’abbigliamento è quello giusto, pantaloncini e felpa
grigia, ma la velocità è irreale, Andrea corre “come per salvarsi la vita”.
Senza riflettere ma soltanto percependo lontane sensazioni, l’uomo si getta come
una furia in un ospedale, reparto ginecologia. Sua moglie, in una solitaria
stanza, lo aspetta, furibonda e disperata: ha perso il loro bambino, da sola.
Da
quel momento il dolore si insinua tra loro, rendendo la donna silenziosa e
apatica, facendo capire all’uomo che questa è una pena che egli non può sanare,
ma può soltanto osservare, assistendo all’isolarsi di quella che pensava la
compagna della sua vita.
Un momento della mia presentazione alla Casa dei libri |
Con
partecipazione conosciamo pian piano le delusioni e le sconfitte di Andrea,
provando una compassione che ci fa approvare le sue scelte, anche se
apparentemente assurde. Così siamo dalla sua parte quando decide di andare a
New York, con la motivazione apparente di visitare la mostra “Dutch Golden
Age”, ma invece per provare a rivivere quella che era stata la sua esperienza
più libera di giovane laureato. L’aperta disapprovazione di Agnese, con il suo
rinfacciare la misere entrate economiche del marito, ci sembra una prova di
forza che lei deve perdere.
Andrea
fugge nella Grande Mela, vive una fascinazione estatica davanti al Ritorno del figliol prodigo di Rembrandt
che lo porta a riflettere su se stesso, sul suo essere più simile al fratello
maggiore, ingiustamente messo da parte dal pentimento del minore.
Dunque,
quando Andrea, quasi per caso, non sale sull’aereo di ritorno, non riusciamo a
condannarlo e ancora lo accompagniamo con complicità all’ostello, per un’altra
settimana di riflessione, forse di ossessione.
Poi
il ritmo accelera e l’uomo che non è riuscito a divenire padre si lascia andare
all’apatia totale, all’indifferenza per tutto ciò che lo circonda e per ciò che
egli stesso è. Il percorso si fa complesso, la coscienza di Andrea non ci pare
più così limpida e cerchiamo di comprendere, attraverso i suoi gesti, quale sia
la spinta che lo muove, con l’angosciante sospetto che non ci sia nulla.
Narrato
in terza persona al tempo presente, il romanzo cattura fin dalle prime righe,
impedendo al lettore di lasciare Andrea al suo destino. I cento personaggi che lo affiancano, così
sfaccettati nella loro varia umanità, sono l’unico contatto che il lettore ha
con un protagonista difficile da disegnare, eppure così simile ad ognuno di
noi, nelle sue contraddizioni, nel suo alternarsi di sensi di colpa e vittimismi.
La sua vera vita, quella che fin dal titolo sappiamo che egli dovrà salvare, fiorirà
solo nelle difficoltà, nel superamento di ostacoli.
Sostenuta
da una prosa di alto livello stilistico, la trama si contorce lungo le
sensazioni e gli incontri di Andrea, trascinando il lettore nei quartieri
poveri di New York, mostrandogli una nuova visione dell’immigrazione clandestina:
quella in cui gli immigrati siamo noi.
Fabio firma la prima copia ancor prima della presentazione |