Incontro
Edoardo Favaron in un calmo sabato pomeriggio, a un mese dalla pubblicazione
del suo libro Il cinema di Uwe Boll. Lo chiamavano
il regista peggiore del mondo, Universitalia edizioni.
Ventisettenne
di Giaveno, attivo da dieci anni come volontario al cinema teatro San Lorenzo,
si occupa di spettacolo in ogni momento del suo poco tempo libero; scrive
recensioni per un sito specializzato, gira cortometraggi e, appena può, se la
svigna ad un festival.
”Quando
ho inviato il manoscritto, mi hanno risposto tre case editrici – mi spiega
tranquillo, davanti ad un caffè, - e ho potuto scegliere quella che mi
convinceva di più. In effetti già con la prima tiratura di millecinquecento
copie mi sta dando soddisfazioni, l’editore mi segue con attenzione, e la distribuzione
funziona. Il mio libro lo si può trovare nelle librerie della zona e anche in
tutte le libreria specializzate d’Italia.”
Il cinema di Uwe
Boll è un
saggio sull’opera di questo originalissimo regista, che si è dedicato per tutta
la carriera a pellicole cosiddette “di serie B”, ovvero di quel cinema che
punta agli effetti visivi, a scatenare emozioni e che, pur avendo talvolta
anche nomi famosi tra gli interpreti, non passa nelle sale cinematografiche,
per arrivare direttamente alla distribuzione in Dvd o Blu-ray.
“E’
un regista che seguo da anni, che ho cominciato a scoprire perché ero incuriosito
dalle critiche feroci che riceveva. Avevo visto alcuni dei film usciti in
Italia: House of the dead, In the name of the king, e mi erano
piaciuti, ma io sono un amante dei film di serie B - ammette con un sorriso. –
Comunque, nonostante i suoi gesti spettacolari e un po’ furbeschi, come sfidare
ad un incontro di boxe i critici che lo avevano denigrato, o invitare ad una
raccolta firme per fargli cessare la carriera, è un artista che ha saputo
evolversi e crescere.”
L’approccio
iniziale è stato quello dei videogame, che lo hanno ispirato e continuano a
fornirgli soggetti per le pellicole, ma negli ultimi tempi Uwe Boll si è
dedicato anche a documentari destinati ad un pubblico ben diverso. Il disagio
adolescenziale, l’attacco al consumismo, la tragedia del Darfur, sono temi che
ben si discostano dagli action-movies adolescenziali.
“Il
suo documentario su Auschwitz, presentato al festival di Berlino, è stato massacrato
dalla critica e eliminato dal festival – spiega Edoardo, - e adesso è quasi
impossibile vederlo. Io ci sono riuscito e ho capito il perché: non toglie
niente della crudezza e spietatezza di quel campo di concentramento. E’ ovvio
che non sia piaciuto ai tedeschi.”
Eppure
è un tedesco anche lui, nonostante abiti negli Stati Uniti da molti anni: forse
per questo il suo punto di vista è ancora più scomodo.
Favaron
continua a raccontare di come lo ha incontrato a Cannes, della sua intervista
via Skype e di come lo stesso Boll si sia dimostrato entusiasta all’idea di un
saggio dedicato a lui e alla sua arte.
“La
passione per il cinema mi è stata trasmessa da mia mamma e da mio nonno, ed è
cresciuta negli anni – dice come spiegazione. -
In quinta superiore ho avuto la fortuna di vincere il premio Grinzane
Cavour Scuola, con una recensione sul Torino Horror Film Fest. Da lì, la scelta
della facoltà universitaria e la laurea in Rappresentazione Audiovisiva e
Multimediale sono state una continuazione quasi necessaria.”
Come
l’amore per la scrittura, aggiungo io. Racconti, recensioni cinematografiche,
sceneggiature per cortometraggi poi presentati ai Festival di Torino,
l’attività di Edoardo prosegue nel corso degli anni. E adesso il libro, non
come conclusione, ma come inizio.
Seduti
ad un tavolino rotondo sotto i portici, continuiamo a parlare, di cinema, di
libri, di progetti e, complice un acquazzone improvviso, mi sembra di essere a
Parigi. Quasi mi stupisco di non indossare un dolcevita nero e di non tenere
fra le dita una Gauloise.
Favaron
è stato ospite del Fantafestival di Villa Borghese a Roma, giovedì 13 giugno e al Treff di
Giaveno la sera del 14 giugno, per Il salotto di Mao.
Il trailer di House of the dead: