martedì 8 gennaio 2013

Traffici illeciti


Traffici illeciti. Se dico queste due parole, cosa vi viene in mente? Se siete dei telefilm dipendenti come me, probabilmente un paio di ragazzoni di etnia incerta che scendono da un furgone malridotto in un lurido vicolo di qualche metropoli; oppure splendide ragazze che offrono seni dirompenti a politici con la pappagorgia o ad amministratori delegati, sperando in un futuro di fama e ricchezza.
Certamente sarebbe più difficile per chiunque, tranne forse per un fulvo barista della campagna scozzese, immaginare come protagonista di questi traffici un piccolo ma paffuto gregge di pecore.
Siamo nei dintorni della mia cittadina di montagna, due carissimi amici vanno, come ogni sera, a controllare le loro pecore, recintate in un prato. Sono una coppia serena: due lauree, un lavoro monotono che hanno deciso di lasciare, dedicandosi, a loro rischio, ad una passione. Non sono allevatori di professione, ma dedicano ogni minuto del loro tempo libero ad una attività che sta lentamente diventando la predominante in famiglia. Accudiscono le loro pecore come alcuni dovrebbero allevare i figli. Ecco perché, giunti nel prato, vedono immediatamente che ne mancano cinque. Certo, può capitare: l’erba scarseggia al di qua della rete, mentre è così rigogliosa, così tentatrice dall’altra parte.
Ma perché la rete è piegata verso l’interno? Nei loro lunghi anni di università hanno imparato che, nonostante l’intelligenza degli ovini sia decisamente sottovalutata, è raro che essi apprendano l’uso delle leve, e ancor più difficilmente quello delle cesoie.
Seguire le tracce degli animali scomparsi è facile; dimostrare ai ladri che quegli animali sono proprio i loro ancora di più, quando sono le stesse pecore a correre incontro belando ai loro padroni.
Più difficile ottenere giustizia: in questo la città non ha nulla da insegnare. Gli individui corrotti o corruttibili non sempre vivono in lussuosi attici con vista sui larghi corsi metropolitani. 

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