venerdì 10 ottobre 2014

Alessandro Boidi Trotti, Una strana partita, Araba Fenice


Roberto Anelli, Primario di Oncologia all’ospedale Molinette di Torino, ama incontrare i suoi amici una volta al mese per un poker e molte chiacchiere. Le passioni della sua vita, condivise con gli amici di sempre, sono la musica e il calcio.
In una di queste partite si trova stranamente “servito” con un poker di donne in mano. La strana coincidenza lo porta a ripensare, nel corso della partita, alle sue quattro donne, coloro che hanno caratterizzato nel bene e nel male la sua vita, rendendola unica e affascinante.
La prima di cui il narratore racconta è Bianca, la Donna di Quadri, splendida e altera compagna di classe al liceo classico Vittorio Alfieri di Torino, poi magistrato dalla vita sentimentale travagliata. Il fascino che subisce Roberto è giostrato da lei come un’arma a doppio taglio e la loro storia vacilla tra l’amicizia e l’attrazione, lungo tutta la loro vita.
Con lei si incontrerà in diverse occasioni, nell'arco di quarant'anni, nei locali storici della città piemontese, facendo respirare al lettore l’atmosfera degli anni salienti della storia locale.
La Donna di Picche è quella cui Roberto ha dedicato la sfida della vita: la morte e il cancro; questo fornisce lo spunto per profonde riflessioni religiose e spirituali. Nei suoi giorni all’ospedale Molinette, il dottor Anelli la incontra negli occhi di donne ammalate, vittoriose o sconfitte, combattive o arrese nel duello con lei. Una di queste donne è una delle amiche di gioventù dello stesso dottore, Chiara; con lei e con altri amici avevano percorso l’Italia degli anni Sessanta, per una vacanza indimenticabile, in pullmino e tenda canadese.
La Donna di Cuori è Barbara, la moglie che Roberto ha scelto e ancora gli sta accanto, presenza silenziosa e forte al contempo. Il suo arrivo nella vita dell’oncologo è preannunciato da due storie d’amore, vissute durante i due conflitti mondiali.
Nel 1917 il nonno di Roberto, figlio di nobili laureati, si innamora, contro tutte le convenzioni, di una “caterinetta” di Torino e va a convivere con lei, sfidando le ire dei genitori, poco prima di partire per il fronte di Caporetto. La nascita di ben due figli maschi, unici eredi della famiglia, farà capitolare i genitori e accogliere Ester.
Nel 1943, il padre di Roberto viene imprigionato su un treno diretto in Germania, ma riesce a fuggire; ferito, riuscirà a comunicare l’indirizzo della sua amata, conosciuta grazie agli scambi epistolari dell’epoca. 
Lo stesso Roberto cercherà la sua Donna di Cuori tra le donne forti sue coetanee. L’arrivo di Barbara nella sua vita, figlia di farmacisti e farmacista a sua volta, segnerà il suo fortunato destino di uomo sposato e padre felice.
Roberto, tra un “rilancio” e un “lascio”, giunge alla sua Donna di Fiori, l’adorata figlia Valentina, proprio nel giorno del suo matrimonio. Gli attimi che precedono la cerimonia, dalla partenza da casa all'arrivo alla chiesa di S. Massimo, proprio di fronte ai giardini Cavour, saranno di stimolo per una riflessione profonda sul senso della vita. Percorrendo la navata, in mezzo a tutti quei volti amici, Roberto attraverserà con la mente le fasi della vita di sua figlia: bambina che vede nel fiume Po un amico, ragazza spigliata e curiosa e, tra poco, moglie.
La partita è giunta al clou, due i giocatori rimasti, ma una strana nebbia avvolge Roberto, che deve ora giocare la partita più importante della sua vita. 


Basato su un mix di episodi realmente accaduti e invenzioni narrative dell’autore, Una strana partita è un romanzo coinvolgente, che fa riflettere e divertire.
Alessandro Boidi Trotti
«Da alcuni anni mi frullava in mente un canovaccio, sebbene ancora confuso» spiega il dottor Boidi Trotti. «L’ultima volta che avevo scritto qualche cosa era stato per l’esame di Maturità; poi ovviamente, testi scientifici e relazioni di lavoro, ma niente di ludico. Così il 7 gennaio, ad una settimana esatta dalla pensione, ho iniziato una confusa, ma reale, “Strana partita”».
Dunque una necessità di reinventarsi?
«Non avendo particolari hobbies, mi sono chiesto cosa mi piacesse e, indirettamente, potesse essere utile ad altri, qualche cosa però che fosse davvero mio. Volevo fare il punto sulla mia esistenza, essendo giunto ad un bivio importantissimo; volevo interrompere più di quarant'anni di vita professionale, per fare un po’ di chiarezza in me e anche, lo confesso, per proporre l’”Alessandro pensiero”. Tutto, però, con ironia, soffermandomi sui miei interessi culturali, cioè il calcio, o meglio la Juve, le canzoni, in particolare quelle degli anni Sessanta, le battute di spirito, la mia Torino, la sua Storia, i suoi caffè, le carte e specialmente l’amicizia. Devo confessare che da quasi subito lo scrivere mi ha dato un senso di libertà, come di un viaggio, per me che detesto i viaggi turistici, nel tempo e nello spazio, senza barriere».
Il filo conduttore, però, sono le donne; non solo le quattro protagoniste, ma anche molti personaggi secondari sono femminili. Cosa rappresenta per lei la donna?
«Bella domanda! Come vorrebbe il mio protagonista, il dottor Roberto Anelli, mi illudo di sapere parlare con le donne, ma lascio a loro l’ardua sentenza. Dovendo rispondere direi: sono il vero mistero della vita, ma guai non fosse così. Del resto nella Bibbia si narra che,  quando Dio la creò, l’Uomo fosse addormentato quindi…»
A chi consiglierebbe il suo libro?
«Spero possa interessare tutti. I miei coetanei che ritroveranno la vita torinese degli anni Sessanta – Settanta, ma  anche i giovani, che ne hanno certamente sentito parlare. Mi auguro piacciano a tutti le capatine storiche sulla Prima e la Seconda guerra mondiale, frutto dei  racconti sentiti dai miei nonni nell’infanzia. E ovviamente ai miei amici, sebbene io tema molto il loro giudizio. Alcuni di loro sono volutamente riconoscibili, anche se ho voluto cambiarne qualche caratteristica. Spero che dopo la prima lettura, dettata dalla curiosità, riprendano il libro in mano per vederlo anche sotto altre prospettive».
Un po’ di paura, dunque, e anche curiosità per le reazioni che avranno i lettori?
«E’ difficile mettersi in gioco così. Spero che lo apprezzino tutti e si ricordino che questo non è il mio mestiere,  ma che ho profuso il massimo impegno in questo esperimento, magari anche creando eccessive aspettative. Inoltre credo in una diversa lettura tra maschi e femmine. Per chi non mi conosce, spero si lasci coinvolgere, si lasci condurre da argomenti magari non scontati; ho cercato di trasmettere il concetto che si può parlare di cose serissime anche in un romanzo, ma anche che bisogna sapere ridere e divertirsi».
Ha parlato di aspettative da parte del pubblico di lettori conosciuti. C’è qualcuno in particolare che l’ha incoraggiata, che ha letto le sue prime pagine quando ancora non si parlava di un vero e proprio libro?
«Mia moglie Francesca, la Barbara del libro, ha letto la prima stesura ed è rimasta sorpresa, anche stupita. Forse non è stato facilissimo per lei, rivedersi come personaggio. Mi ha dato suggerimenti ed esortazioni utili e incoraggianti. Anche i miei figli Federico e Elena (la Donna di Fiori), dopo la sorpresa iniziale per questa attività paterna, mi hanno spinto a continuare. Non hanno letto ancora nulla del libro, ma forse temendo una mia involuzione da pensione, hanno visto una nuova vitalità. Aggiungo anche la mia editor Maria Teresa:  una comune amica ci ha presentati; le ho chiesto di leggere la prima stesura, per dirmi se dovevo buttare tutto nel cestino o se aveva un senso quello che avevo iniziato. La risposta è nelle vostre mani. E infine due amiche misteriose:  è colpa loro se siamo arrivati qui. Ancora donne, come vede».
Sappiamo che, nonostante la promozione del libro la terrà impegnata nelle prossime settimane, è già all’opera con un nuovo romanzo. Può parlarcene?
«Sono appena agli inizi, ma sarà un’opera molto diversa, di cui non accenno ancora nulla».
Allora arrivederci al prossimo libro.

venerdì 3 ottobre 2014

Simona Baldelli, Il tempo bambino, Giunti

Una casa, un nido; muri che rassicurano e proteggono fin dagli anni dell’infanzia. Mobili sempre uguali, più vecchi anno dopo anno, e poi i quadri, le fotografie, gli specchi; ogni immagine una storia, una passato.  Quanti anni? Pochi o forse tantissimi, non è facile capire, per chi legge, sempre più velocemente, Il tempo bambino di Simona Baldelli. Quanti anni ha Mr. Giovedì? È un uomo ormai cadente, che si ingobbisce giorno dopo giorno, o forse un fanciullo incapace di invecchiare e di crescere? Lui con il tempo ci lavora: ripara orologi, sostituisce minuscoli pezzi, pulisce, lima, ridà la vita ai meccanismi. Lui vive in un tempo sospeso, dove i morti lo affiancano come quando erano vere presenze materiali; lo fanno sentire sbagliato come allora, sporco, un animale che deve vivere nascosto.
Solo Regina lo fa sentire bene; i suoi occhi dolci, la voce infantile, la sua pelle chiara di bambina lo attirano e lo incuriosiscono. Mr. Giovedì non si chiede perché Regina fosse addormentata sul suo zerbino, non si stupisce perché riceve da lei degli ordini; a quell’uomo senza tempo bastano le sue carezze, le sue parole affettuose per sentirsi di nuovo vivo, di nuovo con un futuro.


Le parole di Simona Baldelli si accordano perfettamente alla trama incalzante; accompagnano il lettore con dolcezza, prendendolo per mano verso l’orlo di un abisso.
Avanziamo pagina dopo pagina con timore, e quando ormai siamo di fronte al baratro non possiamo più non affacciarci: sperando di non vedere quel che temiamo là sul fondo, magari con le dita sugli occhi, gettiamo uno sguardo preoccupato e ansioso.
Il tempo bambino è un romanzo avvolgente e proprio per questo inquietante; la storia di Mr. Giovedì è tanto dolorosa quanto può esserlo una storia vera, la storia di un uomo cui non è stato mai permesso di crescere, di prendere in mano il proprio destino. Quell’orologiaio solitario potrebbe essere il nostro vicino di casa, potrebbe essere il lontano parente che non vediamo più da anni. Potrebbe essere quell’uomo che osserva i bambini sulla giostra del parco.




mercoledì 24 settembre 2014

Tiziano Fratus, L'Italia è un bosco, Laterza



«In Italia abbiamo l’80 per cento del patrimonio culturale del mondo». Quante volte abbiamo sentito pronunciare questa frase, magari con qualche lieve differenza sulla percentuale? Nei toni più ottimistici, e spesso polemici, si riesce a sfiorare il cento per cento, per recriminare poi l’imperizia con cui la nostra classe politica e burocratica nasconde questi tesori in cantine o dentro cantieri perenni.
In ogni caso, che l’Italia sia meravigliosa e ricca di fascino è un dato di fatto indiscutibile: cattedrali rinascimentali, abbazie, intere città attirano turisti di ogni parte del mondo, come le nostre bellezze naturali. Basti una cifra (precisa, questa volta) come esempio: in Italia sono presenti 50 siti Unesco sui 1007 di tutto il mondo; ovvero cinquanta luoghi così preziosi che l’intera umanità deve impegnarsi per curarli e preservarli.
A far parte di questo raggruppamento non sono solamente le opere d’arte, ma anche il patrimonio naturale italiano, quelle meraviglie della natura per cui l’uomo non può addursi alcun merito, semmai quello di aver lasciato tutto intatto, cosa che troppo poco spesso accade. E tutto ciò senza contare i meravigliosi boschi che colorano e nutrono la nostra penisola.
Quando ho letto, anzi ho spiluccato, gustando come uno zibaldone di pensieri, come una guida turistica e letteraria, L’Italia è un bosco, il mio stupore è cresciuto pagina dopo pagina e la nostra bella e complessa nazione mi è sembrata davvero un’unica grande foresta, interrotta qua e là da paesi, città e laghi.
Ho il privilegio (che non penso di meritare) di abitare fuori dal centro, e con una passeggiata di venti minuti posso ritrovarmi fra gli alberi. Se cammino evitando le strade e le mulattiere, posso percorrere chilometri nei boschi, fino a raggiungere i pascoli d’altura. Eppure, nonostante ami camminare e osservare la natura intorno a me, non avevo mai riflettuto su quanto gli alberi possano dire: la storia degli alberi è la storia del mondo.
Ed è stato Tiziano Fratus, con il suo libro, ad aprirmi una nuova, meravigliosa visuale.
“L’enciclopedia arborea” potrei chiamarla, se volessi imitarlo nella invenzione delle parole che, spiega, è una qualità che ha appreso come poeta e che ora continua ad affascinarlo: coniare parole sbagliate, giocare con i significati.  E con le forme: pini come serpenti e ombrelli, larici dritti come giavellotti o sdoppiati a diapason, tronchi in cui crescono altri alberi, radici divelte dalle tempeste che avvolgono ancora i sassi a cui si ancoravano. Questo è ciò che ci mostra nelle pagine del suo libro, invitandoci ad andare di persona a cercare in tutta Italia i luoghi affascinanti e misteriosi che sono i boschi.
Dunque le foreste del nostro paese come musei a cielo aperto, come forme d’arte, per una promenade culturale che non può non condurre a reminiscenze letterarie, agli autori che prima di noi hanno fatto della natura un rifugio, un paradiso, un tramite con il soprannaturale. San Francesco per primo, Hanry David Thoreau, ma anche Rigoni Stern con i suoi animali selvatici, l'immaginifico Buzzati, e i contemporanei Mauro Corona e Erri De Luca, che dai boschi traggono anche lavoro e piacere.
L’Italia è un bosco è ricco di dati scientifici: altitudini, circonferenze di tronchi, percentuali, età, eppure si legge come un romanzo, cercando di saperne ancora, di scoprire di più. Si va alla ricerca, tra le pagine, di una nuova nazione, di un paese finalmente da scoprire a piedi, con lentezza, e in silenzio, nel rispetto di questa forma di vita che c’era ben prima della nostra nascita e ci sarà certamente quando noi ce ne saremo già andati.

Tiziano Fratus
alla 
Casa dei Libri di Rivalta
giovedì 25 settembre

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