Dopo il funerale del loro vecchio collega
Felice Chiapasso, i suoi cinque amici si trovano al bar Elena di Piazza
Vittorio per qualche rievocazione e un po’ di sospiri. Tra un battibecco e un amarcord, si insinua l’amarezza: nessuno
dei capi RAI è intervenuto alla funzione.
Non si può lasciar passare questo gesto,
bisogna far qualcosa perché non ci si dimentichi di Ombra di giraffa e della
sua bravura come tecnico.

Il trucco funziona: durante il convegno i
telegrammi vengono letti a voce alta da una impiegata tanto solerte quanto
ignorante da non accorgersi che i registi non lavorano più (e non respirano
più) da tempo. Ombra di giraffa ha il tributo che si meritava.
Meno facile è ingannare la giornalista
Alessandra Comazzi, che invece ha immediatamente scoperto il trucco e si
chiede, sulle pagine della Stampa, se non si tratti di uno stratagemma per
pubblicizzare l’uscita di una fiction sul mondo della RAI. Il dottor
Dell’Angelo, neodirettore di RAI fiction, decide di cavalcare l’onda e di
annunciare l’uscita di Ombra di giraffa,
serie mai girata e che mai lo sarà; per cui organizza immediatamente una
teleconferenza e si precipita, dal suo albergo, agli studi RAI di via Verdi., a
bordo di un auto che è venuta inaspettatamente a prenderlo. Ma l’autista non lo
accompagnerà alla sede della RAI Torino, bensì al museo di arte orientale.
Da qui la trama si snoda lungo una traccia
ricca di divagazioni, in uno sviluppo che ho osato definire “a matriosca”, con
racconti nel racconto, con sottotrame ed episodi collaterali che arricchiscono
e divertono.
Gambarotta gioca con se stesso e con i
suoi ricordi, intrufolandosi tra le pagine del romanzo, per fare l’occhiolino
al lettore.